Un paese relativamente piccolo e situato alla periferia dell’Europa
qual è la Bulgaria raramente viene fatta oggetto dell’attenzione dei
media internazionali. Il 24 luglio scorso, però, è stata un’eccezione:
su tutti i giornali e i siti europei e americani si potevano vedere
allarmanti immagini di Sofia. Il motivo era altrettanto allarmante: la
notte precedente la polizia aveva respinto con grande violenza i
dimostranti che avevano circondato il Parlamento. Cosa c’è dietro questi
avvenimenti?
Circa quaranta giorni fa, enormi
dimostrazioni di piazza erano un avvenimento quotidiano a Sofia. I
partecipanti, che comprendevano numerosi studenti liceali e
universitari, erano indignati dal fatto che il nuovo governo aveva fatto
scelte alquanto discutibili per ricoprire importanti cariche
amministrative; tra di esse, aveva particolarmente colpito la nomina di
un notorio imprenditore del mondo dei media alla guida dei potenti
servizi segreti interni del paese. Questa decisione, e altre del
medesimo tenore, sono state considerate sintomi evidenti degli
inestricabili legami tra l’elite politica e diversi circoli affaristici
che si muovono ai limiti della legalità. Le proteste sono chiaramente
non di parte, giacché la gran parte dei dimostranti rifiuta di
identificarsi con il partito di opposizione e accusa l’intera classe
politica di tendere alla corruzione. È per questo che, per descrivere
l’attuale sistema in Bulgaria, preferisco il termine “cleptocrazia” – da
intendersi come un sinonimo più elegante di “clientelismo” – giacché
quello di arricchirsi senza troppi scrupoli a spese della collettività è
stato il tratto caratteristico dell’elite politico-economica per gli
ultimi 23 anni.
La transizione della Bulgaria dal socialismo reale è stato un
tragitto piuttosto complicato. Tutto è iniziato nel 1989, quando – a
differenza di quanto è avvenuto in paesi dell’Europa centrale come la
Cecoslovacchia o la Polonia – l’elite comunista ha architettato un
“ricambio” del vecchio regime, sostituendolo con nuove strutture nelle
quali i vecchi personaggi del partito comunista e delle sue
organizzazioni sussidiarie continuavano ad occupare le “alture
dominanti” dell’economia e del sistema politico. Il vecchio partito
comunista, principale membro dell’attuale coalizione di governo, ha
cambiato il proprio nome in Partito Socialista Bulgaro e sostituito
alcuni dirigenti con facce nuove ma, a differenza della gran parte dei
vecchi partiti comunisti dell’Europa centrale, quello bulgaro non è mai
diventato un’organizzazione social-democratica di stato europeo
occidentale. Il ricordo dei “bei vecchi tempi”, quando la Bulgaria era
il satellite sovietico più fedele, continuano a contraddistinguere la
retorica del partito. Ovviamente il quadro non è del tutto cupo: dopo la
devastante iper-inflazione del 1996-97 sono stati ottenuti diversi
notevoli successi in campo macroeconomico: ad esempio, nel 1997 il Fondo
Monetario Internazionale ha assistito il paese nella creazione di una currency board,
che ha fissato il tasso di cambio del lev bulgaro rispetto al marco
tedesco (e successivamente all’euro), con il risultato che da allora il
paese gode di una notevole stabilità monetaria. Il debito pubblico si è
drasticamente ridotto e oggi è pari al 18 per cento del PIL, uno dei
valori più bassi nell’Unione Europea (incidentalmente, molti economisti e
numerosi dimostranti temono che questo risultato sia messo a
repentaglio dalla proposta di bilancio avanzata dal nuovo governo e
dalla riattivazione di un progetto per la costruzione di una centrale
nucleare guidata da una conglomerata russa). La Bulgaria, inoltre, ha
tra le tasse più ridotte nell’Unione Europea, con un’aliquota fissa (flat tax)
del 10 per cento per l’imposta sul reddito sia delle persone fisiche,
sia delle imprese. Tuttavia nessun governo è riuscito a sciogliere
l’intreccio tra le strutture di stampo mafioso che si annidano in buona
parte dell’economia del paese e l’elite politica, a dispetto dei
tentativi (peraltro sporadici e per lo più inefficaci) di esercitare
pressioni dall’esterno. La qualità delle istituzioni bulgare è quindi
scadente, anche se paragonata a quella dei paesi confinanti. Per questo,
dopo che la bolla speculativa immobiliare ed edilizia si è sgonfiata
nel 2009, gli investitori esteri sono apparsi riluttanti ad impegnarsi
in nuovi progetti e l’afflusso di nuovi capitali stranieri si è
notevolmente ridotto.
Si può dire che le proteste in Bulgaria siano uniche nel loro genere?
Alcuni commentatori internazionali hanno proposto analogie con i
recenti avvenimenti in Egitto e in Grecia, ma ovviamente vi sono
notevoli differenze: in Bulgaria, a differenza dell’Egitto, non vi sono
questioni religiose; inoltre non vi è niente che possa essere paragonato
alle strutture militari egiziane. A differenza della Grecia, invece,
nelle proteste non si ravvisano sentimenti anti-occidentali, anzi: i
dimostranti sono entusiasti del sostegno che ricevono dai media
stranieri e dagli ambasciatori dei paesi dell’Unione Europea che, nelle
ultime settimane, sono stati sorprendentemente poco diplomatici nei
confronti del governo. Tuttavia potrebbero esservi alcune somiglianze
con le proteste di altri paesi del Mediterraneo. I dimostranti di ogni
età hanno levato la voce per dire “basta!” all’elite di tutti i partiti.
È ancora possibile che la transizione della Bulgaria abbia un lieto
fine, che ai miei occhi sarebbe rappresentato da un avvicinamento, per
quanto lento, all’ideale di un ordine politico e sociale libero,
consistente di una cornice di rule of law che racchiude
un’economia di libero mercato in regime di concorrenza, una democrazia
funzionante e una vivace società civile. Per esser chiari, questo
significa l’esatto opposto della trasformazione della Bulgaria in una
copia in sedicesimo della Russia putiniana, una trasformazione che forse
alberga ancora nelle fantasie di alcuni dei russofili di oggigiorno a
Sofia. Quello che anima tanti dei dimostranti nelle strade di Sofia è il
sogno di far diventare la Bulgaria semplicemente un normale paese
europeo, magari con un modesto livello di vita paragonabile a quello
delle nostre ex-”repubbliche sorelle” dell’Europa centrale. È un’utopia?
Le prossime settimane e mesi potrebbero rivelarsi decisive per
rispondere a questa domanda.
(Fonte: Leoni Blog)