Tuesday, February 26, 2008

"CARA A CARA" E BIPOLARISMO. (Face to face and bipolarism)


Si è tenuto ieri sera (25 Febbraio 2008) il primo "faccia a faccia" tra José Luis Rodríguez Zapatero (PSOE) e Mariano Rajoy (PP). Era da 15 anni che in Spagna non si assisteva ad un incontro di tale tipologia tra i due principali sfidanti. La campagna elettorale per le elezioni politiche del 9 Marzo è, di giorno in giorno, più aspra, più dura, possiamo dirlo non cadendo nella banalità: senza esclusione di colpi. Il "cara a cara" di ieri sera (visto in diretta da oltre 13 milioni di spettatori, tra i quali anche me) ne è la prova. Ma perchè, vi chiederete, parlo delle elezioni spagnole? C'è una serie di motivi. Anzitutto perchè la Spagna è un Paese a noi prossimo, un Paese al quale molti dei nostri politici guardano con interesse (e ammirazione), un Paese che per certi versi ha molte somiglianze con il nostro, un Paese che affronta problemi simili ai nostri, un Paese che, come il nostro, si trova in campagna elettorale. Il mio articolo però, non vuole essere comparativo. Vorrei infatti solo limitarmi ad un'analisi interna alla Spagna. Le differenze, a livello politologico, sociale, economico, giuridico, sono tante, troppe, ed un'analisi comparata, in questo preciso momento storico, se non particolarmante accurata (cosa che non ho nè il tempo, nè i mezzi per fare) rischia di essere fuorviante. Meglio allora concentrarsi sulla Spagna, lasciando poi ad ognuno la possibilità di farsi un'idea sulle analogie e sulle differenze rispetto all'Italia e di arrivare poi a delle personali conclusioni.
Ho parlato di differenze (oltre che di analogie) rispetto all'Italia ed al sistema politico italiano. Concentriamoci su di un aspetto in particolare. Certo, anche in Spagna è possibile parlare di "bipolarismo", ma il contesto politico-partitico in cui esso si inserisce si distingue da quello italiano. La legge elettorale vigente in Spagna (rimando qui al mio articolo "Sistemi elettorali comparati" presente su questo blog) favorisce enormemente le due formazioni partitiche maggiori, il Partido Socialista Obrero Español ed il Partido Popular, oltre che i partiti regionalisti-indipendentisti. In ordine di importanza nel Parlamento uscente: Convergència i Unió (catalano conservatore), Esquerra Republicana de Catalunya (catalano socialdemocratico), Euzko Alderdi Jeltzalea (nazionalista basco centrista), Coalición Canaria (nazionalista delle Canarie), Bloque Nacionalista Galego (nazionalista della Galizia), Chunta Aragonesista (nazionalista dell'Aragona), Eusko Alkartasuna (nazionalista basco di sinistra), Nafarroa Bai (nazionalista della Navarra). Il terzo partito "spalamato" su tutto il territorio nazionale, oltre al PSOE ed al PP, è la Izquierda Unida, il partito comunista spagnolo.
Basta rilevare dunque la situazione partitica per capire come sia del tutto peculiare il bipolarismo spagnolo. Un bipolarismo che si erge (o meglio, si dovrebbe ergere) come "baluardo" contro le tendenze separatiste intriseche al sistema politico. La vita stessa dello Stato spagnolo dipende in definitiva da questo delicato equilibrio tra unità nazionale e particolarismo regionale. La via scelta dal Costituente è stata quella di un tipo di Stato regionale (Comunidades Autónomas), a regionalismo differenziato ("Tabla de quesos"). Come avrete ormai intuito, è stato proprio questo uno dei temi centrali del dibattito di ieri seri tra Zapatero e Rajoy. Tuttavia non è stato l'unico grande tema trattato. Analizziamo allora la discussione.
A livello pratico, il modello del "cara a cara" noi italiani lo conosciamo bene: pensate al faccia a faccia Prodi-Berlusconi delle scorse elezioni.
Rajoy attacca subito Zapatero sul tema sopra citato - Lei vuole cambiare il tipo di Stato! Lei ha negoziato con i terroristi baschi! -
Il tema del terrorismo basco meritererebbe almeno due o tre articoli a parte. Per quello che ci serve qui, occorre tenere presente tre elementi. Il primo è l'effettiva politica di "distensione" e trattativa portata avanti dal Governo Zapatero con l'ETA. Anche questo meritererebbe almeno due o tre articoli, magari in futuro... Basti qui dire che quelli che sembravano i "frutti" di tale processo sembrano essere venuti meno con l'attentato del Dicembre 2006 all'aereoporto di Madrid, con la fine del "cessate il fuoco" da parte dell'ETA nel Giugno 2007 e con il parziale epilogo della vicenda del terrorista basco Iñaki de Juana Chaos (imprigionato). Il PP si è sin da subito opposto a questo corso politico condotto da Zapatero. La protesta si è poi levata anche in diversi ambienti intellettuali: Ricardo de la Cierva, nel suo libro del 2007 "Zapatero, tre anni di governo massonico" (libro di cui consiglio caldamente la lettura), accusa pesantemente l'accomodamento verso l'ETA, sostenendo addirittura che il fine ultimo sia la dissoluzione stessa dello Stato spagnolo, o comunque anche solo la creazione di una situazione di caos sociale ed istituzionale. Il secondo elemento da considerare è collegato direttamente a questo fatto. Quasi un gossip, certo, ma che tuttavia ha pesato nel dibattito. Mi riferisco alla gaffe fatta da Zapatero pochi giorni addietro in una Tv spagnola quando, credendo che i microfoni fossero spenti, ha dichiarato - Quello che ci conviene politicamente [al PSOE] è che ci sia un clima di tensione - Il terzo elemento per capire il dibattito e capirne il contesto è la nota diffusa giorni fa dalla Commissione permanente Conferenza Episcopale Spagnola, dove questa si scaglia contro coloro che tentano di trattare coi terroristi (leggi: ETA). Dice la nota: "Il terrorismo è una pratica intrinsecamente perversa, del tutto incompatibile con una visione morale di vita giusta e ragionevole (...) è l'espressione più dura dell'intolleranza e del totalitarismo (...). Una società che voglia essere libera e giusta non può riconoscere esplicitamente o implicitamente una organizzazione terroristica come rappresentante politico di alcun settore della popolazione, nè può considerarla un interlocutore politico (...) Occorre invece riconoscere la legittimità delle posizioni nazionalistiche che senza ricorrere alla violenza, con metodi democratici, vogliono modificare la configurazione politica dell'unità della Spagna".
Nei minuti iniziali del dibattito Zapatero non risponde alla questione dell'unità della Spagna. - Abbiamo progetti politici differenti... Stiamo portando avanti un progetto che richiede altri 4 anni... Siamo oggi l'ottava Potenza al mondo... l'opposizione non fa che insultare... -
Il dibattito procede poi per blocchi tematici.
Si parte con l'economia. Rajoy sottolinea come il problema economico più grave sia l'aumento dei prezzi dei beni primari (vi ricorda qualche altro Paese?) e critica il Governo per non aver fatto nulla in politica economica. Zapatero risponde che la demagogia in economia non serve, che la crescita economica è stata "magnifica", che la Spagna sarà il Paese che crescerà di più nel 2008, che sono stati creati 3 milioni di posti di lavoro. Incalza Rajoy sostenendo che non sia possibile parlare solo a livello macroeconomico: i pensionati e chi va a comprare al supermercato, sono "persone in carne ed ossa".
Si passa poi al tema delle politiche sociali. Per Rajoy queste comprendono sanità, sicurezza, pensioni ed immigrazione. Insiste molto su questo ultimo tema: maggiori controlli e maggiore integrazione devono essere le parole chiave. Per Zapatero è l'educazione il tema centrale. Il Primo Ministro passa poi in rassegna le "grandi conquiste" (Dio ce ne scampi) fatte dal suo Governo in tema di famiglia e diritti individuali: matrimonio gay, aborto, etc.
Si parla poi di sicurezza e politica estera. Durissimo Rajoy - Lei è un bugiardo! Prima dichiarava di non trattare con l'ETA, poi trattava di nascosto. Io non tratterò mai con l'ETA - Risponde Zapatero - Venivamo da centinaia di vittime del terrorismo. Voi siete gli unici che si oppongono ad un Governo che lotta contro il terrorismo! La vostra politica estera fu solo caratterizzata da pessime relazioni con la Francia e dalla guerra in Irak -
Si passa a parlare di istituzioni. Per Rajoy, Zapatero ha "diviso gli Spagnoli", "radicalizzato i nazionalisti", "fatto sì che fossimo paragonati all'Urss prima del crollo": il nuovo Statuto della Catalogna sarebbe l'esito più evidente di questo atteggiamento. Per Zapatero è invece aumentato il pluralismo, insieme alla libertà, alla democrazia.
Si conclude il dibattito parlando delle prospettive future. Per Rajoy la globalizzazione è un'opportunità. La cosa importante è assicurare case e prezzi bassi. Per Zapatero la cosa più importante è l'istruzione. Per entrambi il cambimento climatico rappresenta una sfida decisiva. Sulla questione ambientale poi, è severa la critica di Rajoy per come la scorsa estate è stata gestita la piaga degli incendi nel sud del Paese - Zapatero non ha una politica forestale! - Chicca finale, nuova polemica. Zapatero sostiene di avere il "mondo scientifico ed intellettuale" dalla sua parte e ritiene inoltre che Rajoy abbia insulatato varie volte tali sostenitori. Risponde il leader del PP in tono aspramente polemico - Non è possibile offendere gli scienziati, ma gli elettori popolari e le vittime del terrorismo sì!? -
Questo è un breve resoconto dei momenti salienti del dibattito. Ognuno è libero di trarne le conclusioni che preferisce, magari pensando alla situazione ed al dibattito in Italia. Io concludo esponendo brevemente le mie assolutamente personali considerazioni. Certamente, si sarà intuito, non gradisco molto, anzi rigetto nella sua totalità la politica di Zapatero, che ritengo legata a finalità che definirle "oscure" sarebbe un eufemismo. Il programma di Rajoy da parte sua, sembra essere legato quasi interamente a due tematiche: sicurezza ed unità nazionale. Un pò pochino dal mio punto di vista, anche se a ragione, l'arrestare la "frantumazione" della Spagna iniziata da Zapatero (i fatti accaduti in Navarra negli ultimi due anni, sui quali magari tornerò in un futuro articolo, sono sintomatici) dovrebbe essere la priorità per un futuro, ed a questo punto per me auspicabile, governo popolare a Madrid. Manca però nel PP una chiara visione in politica estera e ciò porta ad una eccessiva vaghezza. Si cita solo di sfuggita (nel programma) il tema della famiglia, così come le tematiche etiche. Per nulla Rajoy ne parla nel dibattito descritto sopra. Sicuramente questo "silenzio" è frutto di un calcolo politico-elettorale ben preciso. La stessa CES si è, a mio avviso, "rifugiata" nel tema del terrorismo (basco), per tentare di allontanare il più possibile l'elettorato recettivo dalle immorali politiche del PSOE (anche se, ricordo per l'ennesima volta, il rischio di una "frantumazione" è clamorosamente reale oggi). Se fossi un elettore spagnolo mi troverei in grande difficoltà. Certamente non voterei Zapatero, probabilmente voteri Rajoy (in effetti in un test on-line, tra PSOE, PP ed IU, il mio grado di "compatibilità" era all'85% in favore del PP...). Sarebbe però sicuramente più facile per me essere un pescatore di uno sperduto villaggio della Galizia o delle Canarie, con il mio partitino regionalista (ma non separatista, altrimenti non lo voterei). A questo potrei ridurmi nel bipolarismo spagnolo. Ed in quello italiano? Ecco, qui vi sarebbe un'analogia. Parziale però. Infatti non sarei un pescatore, ma un taglialegna, dell'Alto Adige o della Valle d'Aosta. Sarebbe più facile sapere chi votare. Nella realtà però risiedo in Emilia-Romagna. Vedremo...
Passo e chiudo.
FRA

Thursday, February 7, 2008

NAMIBIA COLONIALE, PARTE 1: "L'AFRICA TEDESCA DEL SUD-OVEST". (Colonial Namibia, part 1: "The South West German Africa")

La storia della Namibia è in gran parte una storia coloniale. Questo immenso territorio (come lo conosciamo oggi più di ottocento mila chilometri quadrati) in larga parte desertico e scarsamente popolato, esiste come Stato indipendente solo dal 1990. Precedentemente la zona fu prima colonia tedesca e poi controllata dal Sudafrica. Il primo europeo a sbarcare in Namibia fu il portoghese Diego Cão nel 1485 (Cape Cross). L’anno dopo fu la volta di Bartolomeo Diaz, nel medesimo luogo. Lo stesso Diaz diede il nome di Angra Pequena ad un secondo approdo. Dopo questi episodi nessun Europeo arrivò in Namibia fino al XVII secolo. Nel 1670 alcuni Olandesi giunsero dal Capo, ma si dovette aspettare fino alla fine del 1700 perché coloni penetrassero il territorio. Come in ogni altra parte del mondo l’intervento di potenze influenzò in modo determinante la realtà politica, sociale ed economica qui presente. Si interruppero i processi di sviluppo endogeno e si costrinsero società diverse ad integrarsi in posizione dipendente dal sistema economico dominato dalle grandi potenze industriali. Diverse società vennero assoggettate ad un singolo sistema di sfruttamento. In Namibia i coloni avrebbero infatti trovato comunità Khoi (provenienti dalla colonia del Capo) nelle zone costiere del Namib, popolazioni Nama (allevatori) nella parte meridionale del territorio, popolazioni Herero (in conflitto coi Nama) nell’altopiano centrale, Damara sulla costa centrosettentrionale, i San (boscimani) e gli Tswana ai confini con il Kalahari, gli Himba (semi-nomadi), gli Ovambo (coltivatori) ed i Kavango (artigiani) nel nord, i Mafue ed i Masubia in quella che è oggi la Caprivi strip. A questa moltitudine si aggiunsero all’inizio dell’Ottocento gli Oorlam, popolazione dalle origini complesse (discendenti di schiavi malesi, Khoi-San, Olandesi ed Inglesi nella colonia del Capo), che con armi e carovane si installò nella parte centromeridionale della Namibia. Questi conquistarono il predominio su vari clan Nama e negli anni Trenta, attraverso l’azione di Jonker Afrikaner, andarono ad occupare il distretto centrale di Windhoek, il cui nome originale fu in realtà Winterhoek. Arrivarono poi i cosiddetti Rehobothers, che si stanziarono nelle già sovraffollate interne highlands. Contemporaneamente a questi spostamenti si registravano arrivi da parte di missionari europei, che dalle coste cominciavano a penetrare il territorio (grande rilievo ebbe la Rhenish Missionary Society), e arrivi sempre maggiori di Afrikaner (da non confondere con i Boeri sudafricani: questi infatti erano una famiglia che originariamente aveva rifiutato di servire i padroni boeri) e coloni tedeschi. La città herero di Otjimbingwe divenne il principale insediamento per i commercianti europei. Questi, nel 1861, incoraggiarono gli Herero a ribellarsi alla dominazione afrikaner fornendo loro armi che poi vennero usate anche nel conflitto coi Nama per il controllo dell’altopiano centrale. Tra gli anni Sessanta e Settanta si ebbe dunque il consolidamento dei principati herero sotto la leadership di Maherero, che riuscì ad estendere le terre di pascolo herero fino a Rehoboth, a subordinare gli Afrikaner ed a concludere un trattato con i Britannici nel 1876, secondo il quale gli Herero passavano sotto la “protezione” inglese”. Lo stesso anno Londra annetteva la zona intorno a Walvis Bay alla colonia del Capo, ma non procedeva, nel rispetto dell’accordo, ad imporre un protettorato sul territorio herero, come invece chiedevano i commercianti.
È in questo contesto che s’inseriva l’avventura coloniale tedesca in Namibia. Il colonialismo tedesco aveva la particolarità di essere late-comer rispetto a quello delle altre Potenze, ma anche di essere in larga parte alimentato da considerazione puramente politiche, piuttosto che economiche: il prestigio verso gli altri Imperialisti ed il piegare l’alternativa socialista in patria. Certamente vi furono anche intenti economici, ma questi vennero logicamente o cronologicamente dopo, almeno per quanto riguardava l’establishment prussiano. Bismark allora acconsentì all’opzione coloniale oltre che per proteggere gli interessi dei propri scambi commerciali e permettere l’accesso alle materie prime, anche dal punto di vista diplomatico per scaricare tensioni su territori periferici, per operare un riavvicinamento alla Francia in funzione antibritannica, ed infine, se si considera il primato della Innenpolitik sulla Aussenpolitik, per legittimare un ordine sociale e politico messo in crisi da mutamenti rapidi e incontrollabili. E così i mercanti tedeschi presenti dagli anni Trenta in Costa d’Oro, Nigeria e Liberia, costituiranno solo la fase iniziale di un processo che porterà la Germania a colonizzare Togo, Camerun, Rwanda, Burundi, Tanganyika e ovviamente Namibia.
Franz Adolf Eduard Lüderitz era nato a Brema nel 1834 e aveva ereditato dal padre una fiorente attività commerciale nell’importazione del tabacco. Nel 1881 aveva avviato un’azienda agricola in Nigeria, ma non contento due anni dopo s’era spinto via mare verso sud, lungo la costa occidentale, fino a fermarsi nel 1883 in una baia all’altezza del 27esimo parallelo sud: l’Angra Pequena. Gli sembrava un posto adatto per la creazione di un porto e di una base commerciale e non ebbe pace fino a quando non riuscì ad acquistarla. Per pochi fucili, alcool ed un’esigua somma di denaro, ottenne dal capo dei Nama tutta la zona costiera da Walvis Bay al fiume Orange. Lüderitz aveva compreso che quello poteva essere il trampolino di lancio per la conquista di un suolo che stuzzicava anche gli appetiti britannici. Si rivolse allora a Bismark, che all’apice del suo superbo potere disprezzava di fatto qualsiasi affare coloniale: l’unica parte del mondo per la quale valesse la pena combattere era l’Europa, lo scramble for Africa non era che una perdita di tempo. Costretto dalle evidenze geostrategiche e dalle pressioni economiche alla fine Bismark cedette e il 26 maggio 1884 fece pubblicare un telegramma, inviato al console tedesco a Cape Town, in cui si dichiaravano posti sotto la protezione tedesca i territori acquistati a Joseph Fredericks da Lüderitz. In concreto il Cancelliere se la cavò con uno sforzo minimo: un commissario, una bandiera del Reich, qualche funzionario e 23 soldati: la neonata Deutsche Kolonialgessellschaft für Südwest-Afrika. La decisione del governo del Capo di annettersi l’area, provocò una dimostrazione navale tedesca dall’Orange al Cunene, ciò mille chilometri più a nord della Baia di Lüderitz, area in cui un importante consorzio di interessi tedeschi aveva comprato concessioni minerarie. Cape Town si limitò così a mantenere il controllo su Walvis Bay, mentre i Tedeschi iniziarono la penetrazione e la colonizzazione del vastissimo territorio che chiamarono Africa tedesca del Sud-Ovest.
Vediamo allora gli eventi fondamentali, prima di fare considerazioni generali sul sistema di colonial rule tedesco. La situazione si faceva sempre più esplosiva: approfittando dei conflitti etnici specialmente tra Herero e Nama, gli Inglesi infiltravano armi ed agenti dalla base di Walvis Bay. Le popolazioni dell’interno nulla sapevano delle pretese tedesche e gli anni successivi furono di continua guerriglia e resistenza contro la penetrazione. A questo si aggiunga che il Reich mutava in senso decisamente aggressivo la sua politica coloniale: il nuovo imperatore Guglielmo II, salito al trono nel 1888 all’età di 29 anni, rinforzò il contingente militare e incoraggiò l’afflusso di coloni tedeschi, soprattutto agricoltori. Costrinse poi alle dimissioni Bismark e nominò cancelliere il conte Leo Caprivi di Caprara di Montecuccoli, affidandogli il preciso mandato di contrastare in Africa le mire espansionistiche degli altri Stati europei. Fu lo stesso conte, con abile diplomazia a negoziare i confini settentrionali della Südwest-Afrika, ottenendo dalla Gran Bretagna il collegamento del Paese al bacino dello Zambesi mediante una striscia di 500 chilometri, la Caprivi Strip. Quell’accordo ovviamente non pacificò la colonia: le lotte si moltiplicarono. Nel 1896 i Tedeschi potevano dire di aver completato l’occupazione del territorio, con l’eccezione dell’Ovamboland. Tuttavia non senza difficoltà. Maherero aveva denunciato nel 1888, a causa degli espropri tedeschi, un trattato di protezione con Berlino del 1885 e così il primo Commissario tedesco, Heinrich Ernst Göring (padre del tristemente noto Hermann), fu costretto a ritirarsi a Walvis Bay; agli attacchi dei Nama guidati da Witbooi, i Tedeschi risposero con la forza e con la costituzione di un poderoso network di postazioni militari nella regione, costringendo infine il chief a firmare un trattato. Gli Africani, impoveriti dalle guerre e da una epidemia di peste bovina, furono costretti ad accettare lavoro a bassi salari nelle fattorie tedesche o nelle miniere di rame di Otavi. Nel 1900 un terzo del territorio era diventato di proprietà di potenti Compagnie private di tipo speculativo che attendevano l’aumento dei prezzi che sarebbe venuto con la costruzione di strade e ferrovie, quindi dalla colonizzazione. Nel 1903 il governatore Leutwein decise la creazione di riserve per Nama ed Herero, anche con l’intenzione in realtà di proteggerli dalla perdita delle terre, fonte primaria di ribellione. Fu però la goccia che fece traboccare il vaso: nel gennaio 1904 Maherero ordinò la rivolta, invitando gli altri gruppi, Nama compresi, ad unirsi a lui. Dopo i primi successi nell’area di Swakopmund, che costrinsero i Tedeschi a ripiegare verso Windhoek e che causarono oltre cento morti tedeschi, la reazione germanica fu impetuosa e spietata: imponenti rinforzi con alla testa il generale Von Trotha vennero inviati alle Schutztruppe. La battaglia decisiva avvenne l’11 Agosto 1904 ad Hamakari: uomini, donne e bambini Herero vennero radunati e uccisi a migliaia, mentre chi riuscì a fuggire morì di fame e sete nel Kalahari. In Ottobre dalla Germania venne un vero e proprio ordine di sterminio: gli Herero dovevano essere distrutti come nazione. La stessa sorte sarebbe toccata anche ai Nama. Tutti coloro che cadevano nelle mani dei Tedeschi vennero uccisi, le sorgenti d’acqua avvelenate, l’ordine era di sparare a vista. Su ottanta mila Herero, nel 1905 ne rimanevano sedici mila . Fu un vero e proprio genocidio, espressamente voluto da Guglielmo II, il primo del XX secolo. Tale massacro rimane come la più efficace e tragica metafora della feroce sopraffazione rappresentata della dominazione imposta. Ai sopravvissuti, oltre alla fuga nel deserto, rimanevano le malattie o i campi di concentramento o i lavori forzati in Togo e Camerun: in ogni caso sarebbero stati privati del loro bestiame (loro tradizionale mezzo di sopravvivenza) e sarebbe stata abolita qualsiasi leadership indigena o assemblea. Un problema però emergeva: lo sterminio aveva causato mancanza di forza lavoro per l’agricoltura e le miniere. Fu così che le autorità coloniali guardarono a nord, all’Ovambo, come ad un serbatoio di manodopera. Nel 1914 i Tedeschi possedevano circa diecimila ettari ed i bianchi erano quindicimila.
Già dal nome dato al territorio dai colonizzatori, “Africa Tedesca del Sud-Ovest”, si può capire qualcosa sul sistema di colonial rule tedesco (la stessa osservazione varrà per il periodo di occupazione sudafricana.): una zona di puro sfruttamento economico, seppur conseguente a considerazioni politiche, dove l’interesse dei “colonizzati” non aveva posto. La natura di tale sistema era caratterizzata da tre elementi chiave. Primo, la terra era “presa” alla gente del luogo e consegnata ai settlers tedeschi, i quali sarebbero giunti in sempre maggior numero. Secondo, le strutture sociali tradizionali dovevano essere distrutte, per fare dei nativi soggetti totalmente succubi della politica coloniale tedesca (fondamentale per fare ciò era negare qualsiasi tipo di istruzione). Terzo elemento era l’utilizzo delle popolazioni del luogo come pura forza lavoro nelle terre possedute ora dai bianchi, nelle miniere e nelle nuove industrie. Per raggiungere questi obiettivi venne utilizzata la vecchia tattica coloniale del divide et impera, del mettere i vari gruppi namibiani l’uno contro l’altro al fine di controllarli più facilmente e di “strappare” concessioni più favorevoli. È difficile in questo caso applicare le categorie analitiche di direct e di indirect rule, anche perché tali categorie dipendono in ultima analisi dalle risorse reali del territorio controllato, nonché dall’esigenza di amministrare particolari situazioni: sul terreno fu la natura della strutture dominanti e l’interazione con le diverse fasi della presenza coloniale a condizionare i modelli di gestione. Comunque, volendo fare riferimento a tali categorie, potremmo dire che la cosiddetta “Police Zone”, la zona circostante alla ferrovia (al centro del territorio e dal centro alla costa) dove molti nativi lavoravano in industrie e aziende bianche in condizioni servili, fosse sottoposta a direct rule. Nelle aree che invece erano state di Herero e Nama, aree nelle quali l’intenzione era di distruggere la base economica indipendente indigena riproducendo la società tedesca in Africa, quindi creando una colonia d’insediamento di settlers, verrebbe da parlare di indirect rule. Come sappiamo però questa definizione non è propriamente corretta: non è possibile fare riferimento ad una vera e propria indirect rule nelle colonie d’insediamento, ove l’amministrazione europea ebbe un ruolo di ingerenza assolutamente preponderante negli affari indigeni.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale la colonia tedesca ed il Sudafrica si trovarono schierati su opposti schieramenti. Su richiesta del governo britannico le forze sudafricane comandate dai generali Botha e Smuts invasero la Namibia attraverso Walvis Bay e Lüderitz. Il 12 Maggio 1915 presero controllo della capitale Windhoek, dove il governo provvisorio venne affidato a Sir Howard Gorges, che istituì la legge marziale. Arresasi l’ultima guarnigione tedesca (1915) e finita la guerra in Europa (1918), a seguito del trattato di Versailles, il territorio divenne mandato della neonata Società delle Nazioni amministrato dal Sudafrica.

(Segue la parte 2)

Passo e chiudo.

FRA

 
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