Passo e chiudo.
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Sunday, August 31, 2008
KATIE MELUA E LA GUERRA IN GEORGIA. (Katie Melua and the war in Georgia)
Pubblicato da Francesco Rossi 0 commenti
Etichette: International Relations, Music, Other
Saturday, August 16, 2008
LA CRISI USA-RUSSIA, IL SECURITY DILEMMA E BRZEZINSKI. (The Usa-Russia crisis, the Security Dilemma and Brzezinski)
L'approccio realista alle relazioni internazionali (in qualunque sua variante) ha sempre avuto, a mio parere, numerosi limiti euristici, che derivano, in definitiva, da una visione troppo stilizzata della realtà. Tuttavia, molto spesso, è praticamente impossibile prescindere dai paradigmi realisti. Insomma, la più grande "famiglia teorica" delle relazioni internazionali, la teoria mainstream della Guerra Fredda, è qualcosa con cui volenti o nolenti, quando si scrive di politica internazionale, occorre fare i conti. Vi sono però casi dove l'approccio realista non solo appare necessario, ma dove appare anche l'unico plausibile, se non a livello normativo, almeno a livello descrittivo.
Due eventi fondamentali hanno, in questi giorni, portato alla ribalta il realismo nel sistema internazionale: la guerra Georgia-Russia e la firma dell'intesa Washington-Varsavia per il dispiegamento in Polonia della componente missilistica del cosiddetto "scudo spaziale" americano. Non c'è dubbio che il Presidente georgiano Saakashvili sia, sin dalla "Rivoluzione delle Rose" del 2003, una "potente arma" occidentale puntata contro Mosca. Così come non v'è dubbio che lo "scudo spaziale" non sia diretto tanto contro la minaccia di uno "Stato canaglia" (l'Iran ha mostrato totale indifferenza all'accordo Usa-Polonia), quanto proprio contro la Russia (è questa la vera minaccia/ossessione per Praga e Varsavia).
Particolarmente feconda potrebbe essere un'interpretazione di tali eventi alla luce del realismo offensivo di Mearsheimer. Tale teoria si basa su due assunti: - il comportamento degli Stati è funzione della natura del sistema internazionale (anarchica) - gli Stati (in particolare le Grandi Potenze) tendono ad avere una politica estera aggressiva perchè ciò conviene loro (quasi una scelta obbligata per non soccombere nell'ambiente internazionale). Come lo stesso Mearsheimer rileva, il realismo offensivo sposa in qualche modo approcci come quello di Herz e del suo Security Dilemma. In breve, l'impostazione di Herz risulta analoga a quella di Mearsheimer. Tenendo presente quest'ultima, esplicitiamo allora il "dilemma della sicurezza" come esposto da Herz nella sua opera del '51 Political Realism and Political Idealism. Poniamo di avere due Stati con il medesimo livello di potenza iniziale. In questa situazione di equilibrio (di potenza) nessuno dei due Stati si sentirà minacciato dall'altro, cioè la sopravvivenza di entrambi gli Stati sarà assicurata. Poniamo poi che entrambi gli Stati non desiderino la guerra. Mai. C'è però un problema: i due Stati non hanno la capacità di convincere l'altro della bontà delle loro intenzioni. In poche parole, questo sistema a due è caratterizzato dall'assenza di fiducia reciproca. Cosa accadrà allora se per un qualsiasi motivo uno dei due Stati aumenterà (o vedrà aumentata) la propria potenza? [per Mearsheimer la "potenza" è non solo militare, anche se è soprattutto questa, ma è anche funzione della ricchezza economica e della forza demografica] Accadrà che l'altro Stato percepirà tale aumento di potenza come una minaccia diretta contro di lui. Reagirà dunque aumentando la propria potenza. Tale aumento di potenza sarà a sua volta percepito dal primo Stato come una minaccia e quindi sarà accompagnato da un nuovo aumento di potenza. A questo punto il secondo Stato troverà conferma alle proprie preoccupazioni iniziali :- vedete come sin dall'inizio volevano minacciarci? - Inizierà insomma un circolo vizioso di quelle che Buzan definirebbe come "securizzazioni reciproche". In sostanza questo modello prevede che due (o più) Stati siano "trascinati" in un conflitto che nessuno dei due (o più) vuole combattere. La causa di tale conflitto, come si sarà intuito, è sistemica.
Veniamo allora al caso concreto dal quale siamo partiti. Non soffermiamoci sulla natura del sistema internazionale post-'89, cioè sul fatto se sia unipolare, uni-multipolare, multipolare, se sia suddividibile in macro-regioni, se corrisponda ad un modello 1+X (come indicato da Buzan) etc. Concetriamoci invece su Usa e Russia. I primi, la più Grande Potenza post-'89 (l'unica?), la seconda una Grande Potenza potenziale, o meglio in ascesa. Un'ascesa che si può riassumere nell'espressione "la Russia è tornata", frase per certi versi ambigua, ma che richiama immediatamente il corso politico iniziato a Mosca dal 2000 con l'avvento della Presidenza Putin. Durante l'era Putin (quindi in sostanza anche oggi), le componenti individuate da Mearsheimer come parti della "potenza" di uno Stato hanno segnato un forte incremento. Ovviamente questo non è sfuggito a Washington che ha vissuto sin da subito il nuovo corso russo come una minaccia. Insomma si è entrati in un security dilemma. Tuttavia il nemico esplicito dei neocons era e "doveva" essere l'estremismo islamico. Dopo l'11 Settembre Bush e Putin si erano trovati uniti in quella che ormai tutti conosciamo come la "lotta al terrorismo". Per questo il Presidente Usa potè dire di "aver guardato negli occhi di Putin e di aver visto la bontà del suo carattere". Evidentemente però al Pentagono ed al Dipartimento di Stato non ci si fidava più di tanto di ciò che aveva visto Bush. Iniziava così un impegno americano (nell'ombra), volto al contenimento della Russia. Il ruolo giocato dagli Usa nelle cosiddette "rivoluzioni colorate" si ascrive all'interno di tale impegno: 2000 Serbia, 2003 Georgia, 2004 Ucraina, 2005 Kirghizistan. Così anche l'allargamento a est della NATO e la costruzione dello "scudo spaziale" in Polonia e Repubblica Ceca. Ovviamente il filo-americanismo e la russofobia di buona parte di quei Paesi che un tempo gravitavano nell'orbita dell'Urss ha reso tale strategia americana di contenimento una facile opzione. Anche le risposte di Mosca in questi giorni (militari in Georgia, diplomatiche in Polonia) si collocano a pieno titolo nella logica del security dilemma. Si profila dunque un'escalation, una serie di securizzazioni reciproche e opposte.
Occorre rispondere ora a tre domande: 1) come uscire da questo circolo vizioso? 2) perchè la Russia rappresenta (secondo alcuni) una minaccia per la Grande Potenza americana? 3) perchè proprio oggi la rivalità Usa-Russia è uscita allo scoperto?
1) Rimanendo in una logica strettamente realista, il circolo vizioso procederà, con tanto di contrasti e conflitti, fino a quando una delle due parti non avrà la meglio. In particolare vi sarà comunque una tendenza alla persistenza e, nel breve periodo, all'equilibrio (di potenza). In un'ottica non realista, le opzioni sono diverse, in breve riassumibili in due. La logica liberale mostra come il problema del dilemma sia la mancanza di fiducia. La "cura" sarebbe dunque l'istituzionalizzazione delle relazioni tra i due contendenti, una "reiterazione dei giochi" che renda prevedibile il comportamento altrui. Occorre sottolineare a questo punto come, con grande acume politico, Putin abbia scelto come successore Medvedev, non un "uomo dei servizi", bensì un giurista con una formazione di stampo economico. Il tentivo era proprio quello di "tranquillizzare" (gli Usa in primo luogo) senza rinunciare di fatto a proseguire nell'ascesa al rango di Grande Potenza, ma anzi facendo al contempo intravedere come tale ascesa sia basata anzitutto sulla forza economica (leggi "energetica). Infine occorre menzionare la soluzione costruttivista, basata in sostanza su di un cambiamento di linguaggio diplomatico: abbandonare di fatto il linguaggio realista il quale, oltre ad avere una forza descrittiva, finisce con l'avere anche una forza normativa portando alle cosiddette "profezie che si autoavverano".
2) Ma la Russia è davvero un pericolo per gli Usa? Secondo parte dei liberali ovviamente no: occorre commerciare con la Russia, occorre coinvolgere la Russia in istituzioni internazionali, occorre creare fiducia etc. Ma qui è la logica realista (in particolare quella realista offensiva) che può suggerirci qualcosa. Secondo Mearsheimer l'azione normale delle Grandi Potenze in politica estera è volta ad impedire l'emergere di altre potenze in altre regioni. La Russia, nell'ottica di Mearsheimer potrebbe essere un esempio di Egemone Potenziale, dunque un pericolo per gli Usa: un'alleanza od un supporto ad uno Stato indipendente nella regione d'influenza americana (emisfero occidentale) sarebbe piuttosto facile e conveniente da realizzare. Il sistema dunque, per continuare ad utilizzare la terminologia di Mearsheimer, sarebbe "sbilanciato" (a causa dell'ascesa russa), il più foriero di conflitti. Occorre poi tener presente la doppia valenza della Russia, europea ed asiatica. In sostanza una Russia ascendente sbilancerebbe entrambi i sistemi regionali. Tuttavia in Mearsheimer, il vero pericolo per gli Usa viene individuato nella Cina, nel suo potenziale economico-demografico. Da dove deriva allora la priorità data al pericolo russo, rispetto a quello cinese? O meglio, perchè si è palesato proprio ora il contrasto Usa-Russia?
3) Dopo la disastrosa e sciagurata campagna irakena, la parabola neocons a Washington sembra avviarsi al termine. Certo, la "lotta al terrorismo" rimarrà in cima all'agenda della nuova amministrazione. Tuttavia tale impegno sarà affiancato (forse soverchiato?) da un altro obiettivo: il contenimento attivo ed esplicito del "pericolo russo". McCain è stato abbastanza chiaro:- ho guardato Putin negli occhi - per riprendere l'espressione di Bush - ed ho visto solo tre lettere, K-G-B - Ma è Obama che ci interessa. E' lui "l'uomo nuovo", il volto benevolo della potenza americana, il probabile vincitore nella corsa alla Casa Bianca, "l'uomo della speranza". In realtà, ad interessarci non deve essere Obama in sè, quanto la "mente" che si nasconde dietro la sua politica estera: Zbigniew Kazimierz Brzeziński. Già National Security Adviser durante la presidenza Carter, Brzeziński risulta essere il guru della politica estera "made in Obama". Il suo crudo realismo, basato sui nudi rapporti di potere tra nazioni, attinge fortemente a tutto quel filone geopolitico che considera la massa eurasiatica come la chiave di volta per il controllo del globo. Nella sua versione post-moderna della geopolitica di MacKinder/Haushofer si riscontra l'idea che "chi controlla l'Europa Orientale controlla il mondo". Ma l'influenza di Brzeziński (e del suo pensiero) nella politica estera americana va ben al di là di una epidermica russofobia. Nella sua visione il più grande pericolo per gli Usa post-'89 sarebbe una coalizione "anti-egemonica" russo-cino-iraniana, eventualità già intravista a Washington con l'avvento di Yevgeni Primakov come Ministro degli Esteri russo nel 1996. Occupando gran parte della Heartland è tuttavia la Russia il principale oggetto d'interesse di Brzeziński. Certo, la Cina è un pericolo enorme, che però secondo Brzeziński ha un tallone d'Achille: la relativa scarsità di risorse energetiche (rispetto alle necessità). Un motivo in più per mettere in cima all'agenda Mosca e non Pechino. La stessa cosa vale per Teheran: senza la Russia, l'Iran non potrebbe fare molta strada. Anche l'allargamento della NATO può essere ascritto all'approccio di Brzeziński. L'allargamento ad est della NATO, suggerisce, è di primaria importanza. Solo così è possibile una politica eurasiatica coerente da parte degli Usa. Una mancata espansione, al contrario, discrediterebbe la leadership americana così come l'idea di un'Europa in espansione, demoralizzerebbe le popolazioni dell'Europa centro-orientale e rigenererebbe le dormienti aspirazioni geopolitiche russe. In sostanza crollerebbe l'architettura di sicurezza eurasiatica "made in Usa".
Sia con McCain che con Obama, nei prossimi anni continueremo ad assistere ad un faccia a faccia russo-americano. In uno scenario internazionale dove ancora una volta è il realismo politico a prevalere tra i contendenti, la pace sembra essere affidata al vecchio "equilibrio di potenza". Speriamo di non dover rimpiangere l'accoppiata Bush-Putin.
Passo e chiudo.
FRA
Particolarmente feconda potrebbe essere un'interpretazione di tali eventi alla luce del realismo offensivo di Mearsheimer. Tale teoria si basa su due assunti: - il comportamento degli Stati è funzione della natura del sistema internazionale (anarchica) - gli Stati (in particolare le Grandi Potenze) tendono ad avere una politica estera aggressiva perchè ciò conviene loro (quasi una scelta obbligata per non soccombere nell'ambiente internazionale). Come lo stesso Mearsheimer rileva, il realismo offensivo sposa in qualche modo approcci come quello di Herz e del suo Security Dilemma. In breve, l'impostazione di Herz risulta analoga a quella di Mearsheimer. Tenendo presente quest'ultima, esplicitiamo allora il "dilemma della sicurezza" come esposto da Herz nella sua opera del '51 Political Realism and Political Idealism. Poniamo di avere due Stati con il medesimo livello di potenza iniziale. In questa situazione di equilibrio (di potenza) nessuno dei due Stati si sentirà minacciato dall'altro, cioè la sopravvivenza di entrambi gli Stati sarà assicurata. Poniamo poi che entrambi gli Stati non desiderino la guerra. Mai. C'è però un problema: i due Stati non hanno la capacità di convincere l'altro della bontà delle loro intenzioni. In poche parole, questo sistema a due è caratterizzato dall'assenza di fiducia reciproca. Cosa accadrà allora se per un qualsiasi motivo uno dei due Stati aumenterà (o vedrà aumentata) la propria potenza? [per Mearsheimer la "potenza" è non solo militare, anche se è soprattutto questa, ma è anche funzione della ricchezza economica e della forza demografica] Accadrà che l'altro Stato percepirà tale aumento di potenza come una minaccia diretta contro di lui. Reagirà dunque aumentando la propria potenza. Tale aumento di potenza sarà a sua volta percepito dal primo Stato come una minaccia e quindi sarà accompagnato da un nuovo aumento di potenza. A questo punto il secondo Stato troverà conferma alle proprie preoccupazioni iniziali :- vedete come sin dall'inizio volevano minacciarci? - Inizierà insomma un circolo vizioso di quelle che Buzan definirebbe come "securizzazioni reciproche". In sostanza questo modello prevede che due (o più) Stati siano "trascinati" in un conflitto che nessuno dei due (o più) vuole combattere. La causa di tale conflitto, come si sarà intuito, è sistemica.
Veniamo allora al caso concreto dal quale siamo partiti. Non soffermiamoci sulla natura del sistema internazionale post-'89, cioè sul fatto se sia unipolare, uni-multipolare, multipolare, se sia suddividibile in macro-regioni, se corrisponda ad un modello 1+X (come indicato da Buzan) etc. Concetriamoci invece su Usa e Russia. I primi, la più Grande Potenza post-'89 (l'unica?), la seconda una Grande Potenza potenziale, o meglio in ascesa. Un'ascesa che si può riassumere nell'espressione "la Russia è tornata", frase per certi versi ambigua, ma che richiama immediatamente il corso politico iniziato a Mosca dal 2000 con l'avvento della Presidenza Putin. Durante l'era Putin (quindi in sostanza anche oggi), le componenti individuate da Mearsheimer come parti della "potenza" di uno Stato hanno segnato un forte incremento. Ovviamente questo non è sfuggito a Washington che ha vissuto sin da subito il nuovo corso russo come una minaccia. Insomma si è entrati in un security dilemma. Tuttavia il nemico esplicito dei neocons era e "doveva" essere l'estremismo islamico. Dopo l'11 Settembre Bush e Putin si erano trovati uniti in quella che ormai tutti conosciamo come la "lotta al terrorismo". Per questo il Presidente Usa potè dire di "aver guardato negli occhi di Putin e di aver visto la bontà del suo carattere". Evidentemente però al Pentagono ed al Dipartimento di Stato non ci si fidava più di tanto di ciò che aveva visto Bush. Iniziava così un impegno americano (nell'ombra), volto al contenimento della Russia. Il ruolo giocato dagli Usa nelle cosiddette "rivoluzioni colorate" si ascrive all'interno di tale impegno: 2000 Serbia, 2003 Georgia, 2004 Ucraina, 2005 Kirghizistan. Così anche l'allargamento a est della NATO e la costruzione dello "scudo spaziale" in Polonia e Repubblica Ceca. Ovviamente il filo-americanismo e la russofobia di buona parte di quei Paesi che un tempo gravitavano nell'orbita dell'Urss ha reso tale strategia americana di contenimento una facile opzione. Anche le risposte di Mosca in questi giorni (militari in Georgia, diplomatiche in Polonia) si collocano a pieno titolo nella logica del security dilemma. Si profila dunque un'escalation, una serie di securizzazioni reciproche e opposte.
Occorre rispondere ora a tre domande: 1) come uscire da questo circolo vizioso? 2) perchè la Russia rappresenta (secondo alcuni) una minaccia per la Grande Potenza americana? 3) perchè proprio oggi la rivalità Usa-Russia è uscita allo scoperto?
1) Rimanendo in una logica strettamente realista, il circolo vizioso procederà, con tanto di contrasti e conflitti, fino a quando una delle due parti non avrà la meglio. In particolare vi sarà comunque una tendenza alla persistenza e, nel breve periodo, all'equilibrio (di potenza). In un'ottica non realista, le opzioni sono diverse, in breve riassumibili in due. La logica liberale mostra come il problema del dilemma sia la mancanza di fiducia. La "cura" sarebbe dunque l'istituzionalizzazione delle relazioni tra i due contendenti, una "reiterazione dei giochi" che renda prevedibile il comportamento altrui. Occorre sottolineare a questo punto come, con grande acume politico, Putin abbia scelto come successore Medvedev, non un "uomo dei servizi", bensì un giurista con una formazione di stampo economico. Il tentivo era proprio quello di "tranquillizzare" (gli Usa in primo luogo) senza rinunciare di fatto a proseguire nell'ascesa al rango di Grande Potenza, ma anzi facendo al contempo intravedere come tale ascesa sia basata anzitutto sulla forza economica (leggi "energetica). Infine occorre menzionare la soluzione costruttivista, basata in sostanza su di un cambiamento di linguaggio diplomatico: abbandonare di fatto il linguaggio realista il quale, oltre ad avere una forza descrittiva, finisce con l'avere anche una forza normativa portando alle cosiddette "profezie che si autoavverano".
2) Ma la Russia è davvero un pericolo per gli Usa? Secondo parte dei liberali ovviamente no: occorre commerciare con la Russia, occorre coinvolgere la Russia in istituzioni internazionali, occorre creare fiducia etc. Ma qui è la logica realista (in particolare quella realista offensiva) che può suggerirci qualcosa. Secondo Mearsheimer l'azione normale delle Grandi Potenze in politica estera è volta ad impedire l'emergere di altre potenze in altre regioni. La Russia, nell'ottica di Mearsheimer potrebbe essere un esempio di Egemone Potenziale, dunque un pericolo per gli Usa: un'alleanza od un supporto ad uno Stato indipendente nella regione d'influenza americana (emisfero occidentale) sarebbe piuttosto facile e conveniente da realizzare. Il sistema dunque, per continuare ad utilizzare la terminologia di Mearsheimer, sarebbe "sbilanciato" (a causa dell'ascesa russa), il più foriero di conflitti. Occorre poi tener presente la doppia valenza della Russia, europea ed asiatica. In sostanza una Russia ascendente sbilancerebbe entrambi i sistemi regionali. Tuttavia in Mearsheimer, il vero pericolo per gli Usa viene individuato nella Cina, nel suo potenziale economico-demografico. Da dove deriva allora la priorità data al pericolo russo, rispetto a quello cinese? O meglio, perchè si è palesato proprio ora il contrasto Usa-Russia?
3) Dopo la disastrosa e sciagurata campagna irakena, la parabola neocons a Washington sembra avviarsi al termine. Certo, la "lotta al terrorismo" rimarrà in cima all'agenda della nuova amministrazione. Tuttavia tale impegno sarà affiancato (forse soverchiato?) da un altro obiettivo: il contenimento attivo ed esplicito del "pericolo russo". McCain è stato abbastanza chiaro:- ho guardato Putin negli occhi - per riprendere l'espressione di Bush - ed ho visto solo tre lettere, K-G-B - Ma è Obama che ci interessa. E' lui "l'uomo nuovo", il volto benevolo della potenza americana, il probabile vincitore nella corsa alla Casa Bianca, "l'uomo della speranza". In realtà, ad interessarci non deve essere Obama in sè, quanto la "mente" che si nasconde dietro la sua politica estera: Zbigniew Kazimierz Brzeziński. Già National Security Adviser durante la presidenza Carter, Brzeziński risulta essere il guru della politica estera "made in Obama". Il suo crudo realismo, basato sui nudi rapporti di potere tra nazioni, attinge fortemente a tutto quel filone geopolitico che considera la massa eurasiatica come la chiave di volta per il controllo del globo. Nella sua versione post-moderna della geopolitica di MacKinder/Haushofer si riscontra l'idea che "chi controlla l'Europa Orientale controlla il mondo". Ma l'influenza di Brzeziński (e del suo pensiero) nella politica estera americana va ben al di là di una epidermica russofobia. Nella sua visione il più grande pericolo per gli Usa post-'89 sarebbe una coalizione "anti-egemonica" russo-cino-iraniana, eventualità già intravista a Washington con l'avvento di Yevgeni Primakov come Ministro degli Esteri russo nel 1996. Occupando gran parte della Heartland è tuttavia la Russia il principale oggetto d'interesse di Brzeziński. Certo, la Cina è un pericolo enorme, che però secondo Brzeziński ha un tallone d'Achille: la relativa scarsità di risorse energetiche (rispetto alle necessità). Un motivo in più per mettere in cima all'agenda Mosca e non Pechino. La stessa cosa vale per Teheran: senza la Russia, l'Iran non potrebbe fare molta strada. Anche l'allargamento della NATO può essere ascritto all'approccio di Brzeziński. L'allargamento ad est della NATO, suggerisce, è di primaria importanza. Solo così è possibile una politica eurasiatica coerente da parte degli Usa. Una mancata espansione, al contrario, discrediterebbe la leadership americana così come l'idea di un'Europa in espansione, demoralizzerebbe le popolazioni dell'Europa centro-orientale e rigenererebbe le dormienti aspirazioni geopolitiche russe. In sostanza crollerebbe l'architettura di sicurezza eurasiatica "made in Usa".
Sia con McCain che con Obama, nei prossimi anni continueremo ad assistere ad un faccia a faccia russo-americano. In uno scenario internazionale dove ancora una volta è il realismo politico a prevalere tra i contendenti, la pace sembra essere affidata al vecchio "equilibrio di potenza". Speriamo di non dover rimpiangere l'accoppiata Bush-Putin.
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