Friday, April 10, 2009

BYE BYE MISHA

Mikheil Saakashvili ha ricevuto oggi un invito a dimettersi forte di 50.000 manifestanti scesi in piazza a Tbilisi e altre migliaia in località minori della Georgia. Al presidente l'opposizione ha dato 24 ore per pensarci su, poi, avverte, sarà deciso il da farsi. "Questa è l'ultima occasione per il governo di agire nel giusto modo", intima un comunicato letto alla folla a conclusione della protesta che il fronte anti-Saakashvili annuncia ad oltranza, "se necessario". E se per il giovane presidente arrivato al potere nel 2003 con la 'Rivoluzione delle Rose' non è certo la prima contestazione, per la Georgia è un segnale forte dopo la guerra di agosto con la Russia e nel bel mezzo di una crisi che sta mettendo a dura prova una popolazione composta da pochi molto ricchi e molti poveri. Un segnale, per giunta, che trova una cauta sponda dall'altra parte dell'Atlantico, dove 'Misha' non può più contare sull'asse di ferro con George W. Bush e dove Barack Obama sembra tentato da un 'cambio di cavallo' nello strategico Paese del Caucaso. Senza fretta. Come hanno lasciato intendere oggi i leader dell'opposizione, uniti in un inedito fronte compatto. Sul palco allestito davanti al parlamento si sono succeduti gli anti-Saakashvili di lungo corso e figure più nuove sulla scena politica di Tbilisi. "Siamo qui per dire a Saakashvili di andarsene", ha esordito l'ex candidato presidenziale Levan Gacheciladze, come riporta Novosti Gruzij, "non abbiamo altra scelta se non restare qua sino a quando le nostre rivendicazioni troveranno soddisfazione". Una sfida lanciata mentre i manifestanti scandivano "dimettiti, dimettiti". Gacheciladze è stato sconfitto da Saakashvili alle elezioni dello scorso gennaio, quando, tra molte proteste, il presidente ha ottenuto un nuovo mandato con il 53% dei voti. Ma dopo il conflitto di agosto il capo di Stato - appena 40enne dopo cinque anni al potere - ha perso alcuni importanti alleati. In particolare due, che vengono considerati potenziali successori, anche perchè graditi a Washington: l'ex capo del parlamento ed ex compagna della Rivoluzione delle Rose Nino Burzhanadze e l'ex ambasciatore presso l'Onu Irakli Alasania, Entrambi sono a capo di un partito, rispettivamente il Movimento democratico-Georgia Unita e Alleanza per la Georgia. Entrambi sintetizzano le loro ragioni con una drastica formula: "Saakahsvili è diventato il vero problema". Il 9 aprile non è una data casuale. In Georgia si ricorda l'anniversario della violenta repressione di una manifestazione nel 1989, quando le truppe antisommossa sovietiche aprirono il fuoco sulla folla, uccidendo 20 persone. In mattinata, il presidente si è recato ad una cerimonia di commemorazione, dove si è ritrovato fianco a fianco di Burzhanadze, di Gacheciladze e del leader Movimento Uniti per la Georgia Eka Beselia. Saakahsvili ne ha approfittato per lanciare un appello all'unità nazionale: "qualunque siano le nostre divergenze, abbiamo un'unica e sola patria e dobbiamo lavorare assieme per difendere la libertà e l'unità del Paese". Dopodichè, gli oppositori si sono spostati verso il parlamento per la protesta. E' praticamente la prima volta che il fronte antigovernativo - 17 partiti - trova un denominatore comune sufficiente a convocare una manifestazione delle dimensioni mai più viste dopo lo spodestamento di Eduard Shevardnadze. Solo i social-democratici, scrive Interfax, hanno rifiutato l'invito a scendere in piazza. L'ex presidente ed ex ministro degli Esteri sovietico, intanto, si toglie la soddisfazione di consigliare al suo successore di dimettersi. Tanto, dice alle agenzie russe, "è impossibile un accordo".
In un'intervista al sito Euobserver, Saakashvili si dichiara sicuro che le proteste non sfoceranno in un colpo di Stato. "Un golpe richiede una spaccatura nell'esercito e nella polizia e una crisi politica in Parlamento. In questo momento queste condizioni non esistono qui. Ci sono delle persone scontente soprattutto a Tbilisi, ma il loro consenso nelle campagne è praticamente pari a zero", ha spiegato Saakashvili. Il leader georgiano è sotto accusa del mondo politico per la disastrosa campagna militare in Ossezia del sud lo scorso agosto, che ha portato alla guerra con la Russia, e il crescente piglio autoritario degli ultimi due anni. Lui stesso 5 mesi fa aveva deciso di anticipare il voto, alla ricerca di un nuovo mandato dopo le proteste represse con la violenza nel novembre 2007. Secondo un sondaggio condotto a marzo dall'International Republican Institute, solo il 28% dei georgiano sostiene la richiesta di dimissioni di Saakashvili, mentre il 51% è d'accordo con il presidente sul fatto che la Georgia ha bisogno di "unità e pazienza" per affrontare la crisi. E su questa 'pazienza' conta Sakashvili per restare in sella, malgrado la crescente debolezza anche sulla scena internazionale. Oggi moderato e conciliante nei toni, il presidente ha comunque inviato le truppe antisommossa a presidiare il parlamento e la sede della televisione. E secondo l'opposizione oltre 50 attivisti sono finiti in manette nell'imminenza della manifestazione. "Una sessantina dei nostri militanti sono stati arrestati, sono andati a cercarli al loro domicilio" nella notte a Rustavi, nei pressi della capitale, ha denunciato Kathouna Ivanishvili, portavoce del Movimento democratico - Georgia unita, la compagine di cui fa parte l'ex presidente del Parlamento Nino Burjanadze, passata all'opposizione. "E' chiaro che è stato fatto - ha aggiunto - per impedire loro di manifestare". Il ministero dell'Interno ha smentito. La protesta odierna assomiglia molto all'inizio di una nuova fase della politica georgiana. Il giovane Alasania e la più navigata Burzhanadze non hanno fretta. Tra l'altro non vi è condivisa opinione su come procedere. C'è chi chiede un referendum e chi vuole a tutti i costi elezioni anticipate. Un segnale veramente preoccupante per Saakashvili arriva dall'Adzharia, la regione secessionista 'cancellata' dal presidente, dove oggi si è manifestato, come pure nella città portuale di Batumi. A Tbilisi molti pensano che la scintilla per la vera esplosione può venire proprio dall'Adzharia, che è appoggiata dalla Russia e che di Saakashvili non voleva saperne neppure nel 2004. Una ribellione in questa piccola provincia secessionista potrebbe scatenare la vicina Samtskhe-Javakheti, sempre a Sud. Secondo il sito di intelligence americano Stratfor, considerato vicino al Dipartimento di stato, Mosca ha convogliato molti fondi per le proteste al via oggi. Stratfor sostiene che l'ora di Saakashvili potrebbe suonare presto. Uno statement diffuso nella notte dalla diplomazia statunitense suona effettivamente come un monito al presidente e quasi un incoraggiamento all'opposizione, sempre che si resti in territorio pacifico. Esortando le parti a limitarsi al confronto politico, anche duro, ed evitare ogni forma di violenza durante la protesta in agenda oggi a Tbilisi, il Dipartimento di Stato sottolineare che "come amico della Georgia, gli Stati Uniti sostengono il popolo georgiano nel loro continuo sforzo per costruire la democrazia". La nota ribadisce il sostegno alle riforme democratiche "incluso il codice elettorale, la giustizia e i media indipendenti": una sottolineatura in odore di critica al presidente Saakashvili e alla sua personale battaglia contro alcune testate dell'opposizione.

(wallstreetitalia.com 9 Aprile 2009)

Passo e chiudo.
FRA

Wednesday, April 8, 2009

UNA NUOVA RIVOLUZIONE COLORATA? (A new colour revolution?)

Una 'rivoluzione' così veloce da non trovare il tempo di darsi un nome: in meno di una giornata l'opposizione moldava è scesa in piazza, si è scontrata con la polizia, ha preso d'assalto il parlamento, la presidenza, la sede del governo e avrebbe già ottenuto che si proceda a un nuovo conteggio dei voti delle legislative di domenica scorsa. Dopo la rivoluzione delle rose in Georgia, quella dei tulipani in Kirghizistan, quella arancione a Kiev, nell'ex spazio sovietico scoppia un'altra protesta, con diverse dinamiche, ma un tratto comune: la richiesta di cambiamento. "Ci vogliono rubare il futuro", continuava a ripetere alle tv russe Gennady Brega, giovane leader della piazza in fermento. Al centro del nuovo sisma, di intensità ancora tutta da verificare, le accuse di brogli nel voto che avrebbe dato al partito comunista la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Il partito Liberal-democratico e i Liberali, motori della marcia sui palazzi del potere, hanno cambiato i giochi in corsa. Con due piani del Parlamento in fiamme, una donna morta per asfissia e molti poliziotti tra gli oltre 20 feriti negli scontri, Vladimir Voronin - presidente 'ancora' comunista, pur dichiarandosi filoeuropeo - ha concordato il nuovo computo delle schede. Tra l'altro l'Osce ha sostanzialmente promosso il voto di domenica e il Consiglio d'Europa oggi fa notare che "accettare la sconfitta fa parte del processo democratico". "Vogliamo essere liberi", "abbasso il comunismo", "Vogliamo un nuovo conteggio", gli slogan più gridati in piazza e scritti su striscioni scomparsi presto tra getti di idranti e colonne di fumo. Ma anche "siamo romeni", a ricordare che la Moldova fino al 1940 faceva parte della Romania, oggi Paese miraggio per molti giovani della repubblica ex sovietica, più che radice nazionale veramente sentita. Quando la polizia e i 500 agenti antisommossa hanno cercato di bloccare l'avanzata verso la sede della presidenza, la folla ha cominciato a lanciare sassi e sono scoppiati scontri piuttosto violenti. Fonti ospedaliere hanno detto che i feriti sono "oltre 20", altre fonti hanno parlato di "più di trenta". Comunque il caos, che il presidente Voronin - giunto al termine del secondo e ultimo mandato, con il pensiero volto ora alla poltrona di capo del parlamento - ha definito "tentativo di destabilizzazione". I comunisti hanno gridato al "tentativo di golpe". Voronin, noto equilibrista e politico molto navigato, ha annunciato un accordo per il nuovo computo delle schede. L'opposizione ha fatto poi sapere che "non è stato raggiunto alcun accordo". La posta politica in gioco è alta. Ieri il Comitato elettorale centrale di Chisinau ha annunciato che il Partito comunista, con l'86% delle schede scrutinate, aveva superato il 50% dei voti. I tre partiti pro-europei - Liberali, Liberal-Democratici e Nostra Moldova - tutti assieme avrebbero raccolto circa il 34% dei consensi. Un risultato che, una volta ufficializzato, avrebbe dato 61 seggi in parlamento su 101 seggi, quindi la possibilità di eleggere il nuovo presidente senza consultare nessuno. Ieri sera un 'ritocchino' al ribasso (49,9% ai comunisti) non ha placato i sospetti e la crescente ira dell'opposizione, che ha indetto per oggi la manifestazione per chiedere l'annullamento del voto. L'opposizione filoeuropea non vuole lasciare il Paese nelle mani di Voronin, al potere da otto anni, grande manovratore che ha prima dichiarato l'eterno regno del socialismo poi ha deciso di guardare verso l'Ue, senza convincere troppo. Non ha convinto certo la folla scesa in piazza oggi, in gran parte giovani che sognano un futuro in Europa, ma sanno che a fare i giochi elettorali ancora oggi sono l'esercito della pubblica amministrazione, gli elettori più anziani e nostalgici dell'Urss. Oltre ai votanti convogliati dalla diffusissima corruzione. Voronin - o il suo successore, da eleggere entro l'8 giugno - è atteso tra l'altro al vertice europeo di Praga che a inizio maggio vedrà il battesimo ufficiale del Partenariato per l'Est. La nuova iniziativa di cooperazione Ue con Ucraina, Georgia, Bielorussia, Armenia, Azerbaigian e Moldova è importante per Chisinau come ponte verso l'Occidente. Ma d'altronde la Moldova è legata a doppio filo a Mosca, non tanto per l'ideologia, che nelle mani di Voronin vira spesso e volentieri, quanto per la totale dipendenza dal gas russo e dagli umori del governo moscovita. Oltre all'aumento delle tariffe del metano, l'embargo sulle esportazioni di vino moldavo nel 2006 ha definitivamente messo in ginocchio la Moldova, che ora vive di rimesse degli emigrati (36% del Pil) e di aiuti internazionali, Ue in prima fila. Insomma, la crescita dell'inizio del decennio 'liberista' (al massimo nel 2005: Pil + 7,5%), malgrado anche i comunisti abbiano varato alcune riforme stabilizzanti, è un ricordo lontano. E' sempre viva, invece, la ferita della guerra civile del 1992 in Transdnistria, la prima delle guerre postsovietiche: 1.400 morti almeno negli scontri tra truppe separatiste ed esercito moldavo. Prima che intervenissero i russi a imporre una tregua e vegliare sulla proclamazione di indipendenza della regione.

(wallstreetitalia.com 8 Aprile 2009).
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Moldovan President Vladimir Voronin has expanded his accusation of an attempted "coup d'etat" by opposition forces to charge that "certain forces" in neighboring Romania had masterminded the violence that has hit the country in recent days.

Several thousand protesters returned to the streets of the Moldovan capital on April 8 less than 24 hours after demonstrations gave way to bloody clashes and the ransacking of government offices.

But there were no reports of violence as police and security forces guarded key government buildings to avoid a repeat of the chaos of a day earlier. President Voronin told
a meeting of regional government officials that118 people were arrested after the April 7 riots.

The street protests followed the announcement that Voronin's ruling Communist
Party had won more than half the votes in weekend parliamentary elections, a result that would allow it unilaterally to pick a president to succeed Voronin as well as a prime minister.

Authorities regained control of the parliament and presidential offices overnight after mobs overran those buildings, which lie next to a main Chisinau square.

Hundreds of young people who were gathered near the steps of the presidential building around midday were subdued, with no signs of violence.

There were no police visible at the entrance to the parliament building across the road.

Accusations Of Romanian Interference


Voronin announced that Romania's ambassador to Chisinau had been declared persona non grata and that Moldova would institute a summary visa regime with Romania, which is an EU member state. The Moldovan ambassador to Romania was summoned to Chisinau for consultations.

EU and other European representatives have urged protesters to refrain from violence but also called on the government to allow peaceful protests.

Romanian media reported that Moldovan authorities have closed
several border crossings between the two countries in an apparent attempt to prevent hundreds of young Moldovans studying in Romania from returning home and possibly joining the protests. At least 20 journalists were also reportedly prevented from crossing from Romania into Moldova.

Some reports say noncitizens are being denied entry to the country.

Voronin, speaking to regional government officials, said 118 people were arrested after the April 7 riots. He accused the leaders of the protest movement of fleeing abroad.

Voronin's accusations of Romanian involvement underscores the close cultural and language links the two countries share. Moldova was part of Romania before World War II, and two-thirds of the country's 4.5 million people are ethnic Romanians.

The televised mayhem on April 7 included scenes of Romanian flags, nearly id
entical to the Moldovan national flag, being waved from the rooftop of the besieged presidential building.

The opposition has not commented on Voronin's claims about Romanian involvement.

But opposition leaders deny being behind the violence and have accused the government of sending its own provocateurs into the crowds of demonstrators to steer what began as peaceful protests in a more destructive direction.

Vlad Filat, a leader of the opposition Liberal Democrats, told Reuters that authorities had "broken off the agreement we reached with Voronin," reportedly over allowing opposition access to voter lists.

Filat said he would not rule out "arrests, both of political leaders and participants, to maintain the pressure, to give an example of how they can treat those who decide to protes
t."

View From The Street

Protesters' numbers were dwindling on April 8, with crowds in the late afternoon estimated at 3,000. The April 7 violent confrontations gave way to a more relaxed mood.

Some banners indicated a sense of anger in the crowd, with messages like "Voronin, leader of the dead." Still, some of the mainly young demonstrators told RFE/RL they disap
proved of the destruction caused by violent protesters. A young man expressed suspicion that the attacks had been staged:

"[It was] the provocateurs who were calling on people to crush and destroy things, to set things on fire. I believe it was some Communist idea. We'll find out in the following days," he said.

Another participant, a young girl, told RFE/RL she strongly rejected the violence and the destruction: "I was there for a while. We stood there quietly with my colleagues. I clearly disagree with what they did, the damage they caused to the presidency and parliament buildings. No one expected the Communists to win again."


Call For 'Deescalation'

The Organization for Security and Cooperation in Europe (OSCE) -- whose election monitors offered lukewarm praise for the voting that sparked the protests -- has reiterated its condemnation of the violent incidents and called for restraint.

The OSCE on April 6 expressed concerns about "undue administrative interference" in the vote, but said the election overall met many international standards and commitments.

"We condemn, of course, any violence, any outbreak of violence that took place in the Moldovan capital following [the April 5] parliamentary elections," OSCE spokesman in Chisinau, Matti Sidoroff, told RFE/RL. "We urge every political side to do their utmost to deescalate the situation."


The street protests began after the three main opposition parties -- which together garnered 30 percent of the vote, according to preliminary figures -- called for a recount. They complained that Communist authorities had manipulated the vote, in some cases casting false ballots with the names of Moldovans living abroad.

Independent observers also spoke of widespread intimidation of voters, especially outside the capital.

Asked if the OSCE would review its findings, Sidoroff declined to comment. But he said the opposition's complaints must be analyzed without delay.

"Indeed, we know that many opposition parties have filed complaints and say also that they have proof that they have presented which has to be studied in due time by the Central Election Commission, and this process is going on," Sidoroff said.

Deadlines Passed

Opposition leaders met late on April 7 with Voronin and government representatives to call for a recount.

But election commission head Iurie Ciocan has rejected that demand, arguing that the law only provides for individual complaints filed with local courts where the alleged fraud was noted.

The commission was due to announce the official results of the vote on April 8, but that deadline has passed with no formal announcement.

Serafim Urechean, the leader of the Our Moldova Alliance, one of the three pro-western liberal opposition parties which managed to get into parliament, told RFE/RL that they all insist on being allowed to check the voters' lists against the actual number of votes to establish whether identities of people who have been abroad and couldn't vote had been stolen.

"We want to have the voters' lists put at our disposal. [When we get the lists] we, [the Our Moldova Aliiance] together with the other two[ opposition] parties [the Liberal Party and the Liberal Democratic Party] will initiate through investigations and afterthat we can talk," Urechean said.

Voronin, whose second and final presidential term formally ends on April 8, remains in the role of caretaker president until a new parliament elects a new head of state. There is speculation that Voronin might seek the post of parliamentary speaker or head the Communists' parliamentary faction.

The events in Moldova have been watched carefully by Moscow, which has some 1,000 troops stationed in Moldova’s breakaway region of Transdniester, and has sought to boost its influence in the former Soviet republic.

Russian Foreign Minister Sergei Lavrov has said Moldova opposition calls for a recount or repeat of the parliamentary vote are "absolutely groundless," while the State Duma passed a statement backing the Moldovan authorities and urging the European Union and Romania to clearly condemn the protesters' actions
.

By Eugen Tomiuc, Valeria Vitu
(rferl.org 8 Aprile 2009).

Passo e chiudo.
FRA

I LEGAMI USA-RUSSIA SU UNA NUOVA TRAIETTORIA. (US-Russia ties on a new trajectory)

Articolo di M.K. Bhadrakumar che potete trovare su atimes.com (4 Aprile 2009). La traduzione in italiano è di Manuela Vittorelli (mirumir.altervista.org 7 Aprile 2009).



I faccia a faccia tra i presidenti degli Stati Uniti e della Russia hanno alle spalle una storia di ottimismo carico di promesse che poi si rivela illusorio e fugace. L'incontro a Soči sul Mar Nero, un anno fa, ne è stato un perfetto esempio. Il summit di Soči produsse una dichiarazione magniloquente che tracciava i contorni della cooperazione strategica tra le due grandi potenze.

Ma subito dopo la conclusione del vertice le relazioni si inasprirono e i legami tra Stati Uniti e Russia precipitarono. I rapporti peggiorarono sempre più. Il conflitto nel Caucaso meridionale dello scorso agosto condusse a una deriva pericolosa nelle relazioni tra la Russia e l'Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (NATO), aggiungendosi alla lista di contenziosi che già complicavano la relazione USA-Russia: il posizionamento di componenti del sistema di difesa antimissile statunitense in Europa Centrale, l'allargamento a est della NATO, la rivalità per le risorse energetiche del Caspio, discordie non sopite nella regione del Mar Nero e via dicendo. Un'atmosfera di sfiducia, dovuta a tutti questi contrasti, scese sui legami USA-Russia.

Inoltre continuava a saltar fuori una questione fondamentale: quanto è centrale la Russia per gli interessi globali degli Stati Uniti? È dunque facile comprendere perché l'intensità retorica dell'incontro tra il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il Presidente russo Dmitrij Medvedev svoltasi in margine al summit del G20 di Londra, il 1° aprile, venga valutata con prudenza dalla maggior parte dei commentatori. È vero disgelo? Il “riavvio” delle relazioni USA-Russia è destinato a prendere velocità? Sono queste le domande all'ordine del giorno.

Una cosa è certa: le relazioni USA-Russia hanno toccato il punto più basso dalla fine della Guerra Fredda e potrebbero solo migliorare. Di certo, a giudicare dal disagio evidente nelle valutazioni dell'incontro di Londra da parte dei fautori della Guerra Fredda, potrebbe apparire un nuovo tono nelle relazioni tra gli Stati Uniti e la Russia. Il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha detto che il rapporto ha acquisito una “qualità nuova”.

Lavrov, eccellente diplomatico non portato per l'iperbole, ha detto che ai colloqui di Londra si è creato un “nuovo clima nelle relazioni”. “C'è interesse reciproco, e soprattutto disponibilità ad ascoltarsi a vicenda, cosa che mancava da molti anni. Ciò significa una nuova qualità delle relazioni”. Motivo più che sufficiente per prevedere che l'incontro di Londra può in fin dei conti portare da qualche parte, invece di finire in un vicolo cieco nelle prossime settimane.

Chiaramente, l'incontro è stato ben più di quello che Lavrov ha modestamente riassunto. Le due parti evidentemente hanno fatto un grande lavoro preparatorio per far sì che il colloquio fosse produttivo.

Prima del faccia a faccia Obama-Medvedev, oltre alle consultazioni di Lavrov con la sua controparte statunitense Hillary Clinton a Ginevra il 6 marzo, varie delegazioni ad alto livello si erano recate a Mosca per risuscitare le relazioni USA-Russia prima dell'incontro tra i due presidenti. C'erano dunque state le visite del Sottosegretario di Stato William Burns, degli ex segretari di Stato Henry Kissinger, George Schultz e James Baker, dell'ex segretario della difesa William Perry, dell'ex consigliere per la sicurezza nazionale Brent Scowcroft, degli ex senatori Sam Nunn, Gary Hart e Chuck Hagel.

Nel frattempo nell'ambito dei colloqui USA-Russia era entrato anche il rapporto della Commissione Hart-Hagel su “La giusta direzione per la politica statunitense verso la Russia”, diffuso il 16 marzo. La commissione faceva tre fondamentali osservazioni: Uno, negli ultimi anni le relazioni tra Stati Uniti e Russia avevano toccato il punto più basso dalla fine della Guerra Fredda. Due, un impegno americano volto a migliorare le relazioni USA-Russia non è né un premio da offrire in cambio della buona condotta di Mosca in campo internazionale né un sostegno alla politica interna del governo russo. Tre, è un riconoscimento dell'importanza della cooperazione russa nel raggiungimento di obiettivi americani essenziali: dall'impedire l'acquisizione di armi nucleari da parte dell'Iran a smantellare al-Qaeda e stabilizzare l'Afghanistan e a garantire la sicurezza e la prosperità europee.

Le principali raccomandazioni della Commissione comprendevano: primo, cercare la cooperazione della Russia con l'Iran; secondo, lavorare congiuntamente per rafforzare il regime internazionale di non-proliferazione; terzo, rivedere i posizionamenti della difesa antimissile in Polonia e nella Repubblica Ceca e compiere un autentico sforzo per sviluppare un approccio collaborativo alla minaccia comune rappresentata dai missili iraniani; quarto, accettare il fatto che né l'Ucraina né la Georgia sono pronte a entrare nella NATO e avviare una stretta collaborazione con gli alleati degli Stati Uniti per individuare opzioni che non siano l'ingresso di questi paesi nella NATO per dimostrare l'impegno a difendere la loro sovranità; e quinto, lanciare un serio dialogo sul controllo degli armamenti che comprenda l'estensione del Trattato per la Riduzione delle Armi Strategiche (START) e un'ulteriore riduzione delle armi nucleari tattiche e strategiche.

Il proposito della Commissione, nelle parole di Hart, è stato quello di “costruire nel nostro paese una base limitata che offrirà sostegno alla nuova amministrazione [Obama] nei suoi sforzi per migliorare le relazioni [USA-Russia]”. Prima di andare a Mosca, Hart e Hagel hanno incontrato il consigliere per la Sicurezza Nazionale Jim Jones e altri rappresentanti dell'amministrazione Obama. È un fatto che, ricevendoli al Cremlino il 10 marzo, Medvedev ha sottolineato che i segnali provenienti da Washington erano incoraggianti. “Purtroppo le nostre relazioni sono deteriorate in misura significativa negli ultimi anni. Questo fatto ci rattrista”, ha detto Medvedev. “Crediamo di avere ogni opportunità per aprire una pagina nuova nelle relazioni tra Russia e Stati Uniti. I segnali che riceviamo oggi dagli Stati Uniti – mi riferisco ai segnali che sto ricevendo dal Presidente Obama – mi sembrano assolutamente positivi”.

E di fatto le dichiarazioni (e le azioni) di Washington e Mosca nelle ultime settimane indicano che i due governi si stanno muovendo nelle direzioni suggerite dalla Commissione Hart-Hagel. La Commissione affermava:
Assicurare gli interessi nazionali vitali dell'America nel mondo complesso, interconnesso e interdipendente del XXI secolo richiede una profonda e significativa cooperazione con altri governi... E poche nazioni potrebbero fare la differenza per il nostro successo più della Russia, con il suo vasto arsenale di armi nucleari, la sua posizione strategica tra Europa e Asia, le sue considerevoli risorse energetiche e il suo status di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un'azione rapida ed efficace per rafforzare le relazioni USA-Russia ha un'importanza critica nella promozione degli interessi degli Stati Uniti.

Mentre gli Stati Uniti stanno affrontando una profonda crisi economica, le sfide in materia di politica estera che si pongono al nostro paese sono sempre più complicate e difficili – e i nostri interessi nel gestire particolari situazioni possono essere in competizione o perfino contraddittori. È per questa ragione che dobbiamo fare scelte difficili nel plasmare la nostra politica estera, concentrandoci soprattutto su ciò che è realmente vitale in senso stretto: innanzitutto la non-proliferazione nucleare, il controllo degli armamenti, il terrorismo e la ripresa economica globale.
Con straordinario candore la Commissione proponeva: “Dobbiamo anche significativamente migliorare la nostra comprensione degli interessi russi come i russi li definiscono”. Con il senno di poi, la commissione praticamente delineava i punti all'ordine del giorno dell'incontro di Londra. Dunque, se i risultati concreti di Londra possono sembrare scarsi, ciò che conta è che è stato avviato uno sforzo sostenuto e coerente per creare una massa critica nelle relazioni USA-Russia, che potrebbe benissimo sostanziarsi nei prossimi due o tre mesi.

Chiaramente la decisione dell'incontro Obama-Medvedev di perseguire un nuovo accordo per la riduzione delle armi nucleari segnala già di per sé un drammatico ribaltamento dell'ostinata posizione dell'amministrazione George W. Bush. Per citare Obama, la decisione ha segnato l'“inizio di una nuova fase di progresso nelle relazioni USA-Russia” dopo anni di stallo. La prevista visita di Obama a Mosca entro i prossimi tre mesi – prima del summit del G8 in Italia, l'8-10 luglio – incoraggerà i negoziatori ad “avviare subito i colloqui” su un accordo che sostituisca lo START, che scade a dicembre.

Le due parti non si sono ancora accordate su un nuovo limite, ma è ovvio che l'accordo andrà oltre il Trattato per la Riduzione delle Offese Strategiche del 2002, che impegnava entrambe le parti a mantenere i rispettivi arsenali nucleari sotto il limite delle 2200 testate entro il 2012.

I fautori della Guerra Fredda potranno dire che i colloqui sulla riduzione delle armi costituiscono un'importante concessione da parte di Obama, giacché “eleva” lo status della Russia nella comunità internazionale a quello di pari degli Stati Uniti. Del resto Obama sa che senza una profonda cooperazione da parte della Russia tutti i suoi piani in materia di non-proliferazione non riuscirebbero a decollare. Per citare Obama, “Sia gli Stati Uniti che la Russia e altre potenze nucleari si troveranno in una posizione molto più forte nel dare vigore a quello che è diventato un trattato di proliferazione alquanto fragile e logoro, se daremo l'esempio e sapremo compiere dei seri passi per ridurre l'arsenale nucleare”.

È vero che i due presidenti hanno ammesso che permangono divergenze sulla dibattuta questione del dispiegamento di elementi del sistema anti-missile statunitense in Europa. Ma presumibilmente si rendono anche conto che non è più una questione pressante, e che la cooperazione USA-Russia è fattibile. In ogni caso, Mosca sa che Obama non ha l'entusiasmo di Bush nel promuovere la cosa imponendo le condizioni americane, e inoltre l'opinione pubblica ceca è sempre più contraria al dispiegamento statunitense.

Anche le tensioni per l'allargamento della NATO si sono alleggerite, mentre trapela che l'ingresso dell'Ucraina o della Georgia nell'alleanza è semplicemente escluso per almeno 15-20 anni. Le divergenze permangono su altre questioni, come il conflitto del 2008 nel Caucaso e i successivi cambiamenti nella regione, o l'indipendenza del Kosovo, ma adesso non si tratta esattamente di “punti caldi” nelle relazioni USA-Russia.

Invece ciò che ha dato uno slancio sostanziale all'incontro di Londra tra Obama e Medvedev aveva a che fare con la cooperazione USA-Russia in Afghanistan. La dichiarazione congiunta dei due presidenti dice che hanno concordato la necessità di collaborare sull'Afghanistan in quanto “al-Qaeda e altri gruppi terroristici e rivoltosi in Afghanistan e Pakistan rappresentano una comune minaccia per molti paesi, Stati Uniti e Russia compresi”. La dichiarazione aggiungeva che Mosca e Washington avrebbero “lavorato e fornito appoggio a una risposta internazionale coordinata con le Nazioni Unite in un ruolo chiave”.

È molto significativo che i russi abbiano deciso di calare l'asso offrendo agli americani alla vigilia dell'incontro di Londra il transito aereo e ferroviario completo e senza ostacoli sul territorio russo per il trasporto dei rifornimenti militari degli Stati Uniti (e della NATO) diretti in Afghanistan. Essenzialmente i russi hanno offerto agli Stati Uniti l'opportunità di non dipendere più da altre rotte di transito come il problematico Pakistan.

Ciò che emerge è che Mosca ha capito che la maggiore preoccupazione della politica estera dell'amministrazione Obama sarà la stabilizzazione dell'Afghanistan. E che non c'è niente di meglio, per stabilizzare le relazioni USA-Russia, che offrire piena cooperazione agli Stati Uniti nell'Hindu Kush. (A proposito, questo approccio è in linea con la prognosi della Commissione Hart-Hagel)

Bella pensata da parte di Mosca. Si basa sull'attenta analisi del fatto che non esiste alcun reale conflitto di interessi tra la Russia e gli Stati Uniti in Afghanistan finché la relazione USA-Russia si basa sulla sensibilità verso i reciproci interessi vitali.

Ciò risulta evidente se passiamo in rassegna i postulati fondamentali della nuova strategia afghana di Obama. Questa nuova strategia tanto reclamizzata – “più forte, più intelligente e completa” - si basa essenzialmente su nove principi.

Uno, c'è un collegamento fondamentale tra il futuro dell'Afghanistan e quello del Pakistan. Due, al-Qaeda rappresenta una minaccia per l'esistenza del Pakistan. Tre, la capacità del Pakistan di affrontare la minaccia di al-Qaeda è legata alla sua forza e alla sua sicurezza. Quattro, il Pakistan ha bisogno dell'aiuto degli Stati Uniti, ma dev'essere responsabilizzato. Cinque, le conquiste dei taliban in Afghanistan devono essere azzerate e bisogna promuovere un governo afghano più capace e responsabile. Sei, il “surge” dovrebbe avere componenti sia militari che civili, e queste dovrebbero essere integrate. Sette, la precondizione di una pace duratura è che deve esserci riconciliazione tra gli ex nemici. Otto, al-Qaeda può essere isolata e colpita seguendo lo schema del Risveglio Sunnita intrapreso con successo in Iraq. Nove, è necessaria la partecipazione internazionale, soprattutto quella della NATO.

Mosca non ha problemi con nessuno di questi parametri. Dunque il Cremlino valuta acutamente che gli interessi in termini di sicurezza della Russia non vengono in alcun modo danneggiati se la Russia aiuta gli Stati Uniti a stabilizzare l'Afghanistan. La strategia afghana di Obama ha scarse probabilità di successo, ma questo non è un problema della Russia. Aiutare un amico nel momento del bisogno potrebbe far sì che la Russia diventi davvero amica dell'amministrazione Obama. La logica è semplice, diretta e forse anche praticabile, visto che gli Stati Uniti rischiano seriamente di impantanarsi politicamente e militarmente in Afghanistan e hanno estremo bisogno dell'aiuto di chiunque.

Se la Russia riesce a capitalizzare sul conseguente favore degli Stati Uniti per creare un positivo clima di collaborazione nelle relazioni USA-Russia, questo avrà un impatto profondo sul sistema internazionale. Le potenze regionali osserveranno con molta attenzione, e forse hanno già cominciato a pensare come calibrare le loro mosse in Afghanistan. La posta è alta soprattutto per l'Iran e per il Pakistan.



Passo e chiudo.
FRA

Tuesday, April 7, 2009

TERREMOTO IN ABRUZZO: UN MODO PER AIUTARLI. (Earthquake in Abruzzo, Italy: a way to help them)

Per chi volesse aiutare le popolazioni colpite dal sisma, il seguente link (Caritas italiana) offre alcune informazioni al riguardo.
Passo e chiudo.
FRA

Friday, April 3, 2009

IL COMPLICATO ATTACCO AL DOLLARO... E NAZARBAYEV. (The complicated attack against the dollar... and Nazarbayev)

Il presidente russo Dmitrij Medvedev non è pienamente soddisfatto delle discussioni tenutesi al G20 di Londra. Uno dei temi più rilevanti, secondo il capo del Cremlino, non sarebbe stato discusso a fondo: lo sviluppo di un sistema monetario mondiale. L'approccio di Mosca si basa sulla necessità di sostenere forti valute regionali, in modo da utilizzarle successivamente come base per la creazione di una nuova valuta di riserva mondiale, eventualmente "ancorata" all'oro. Le reazioni di Obama e Gordon Brown sono state piuttosto fredde, almeno ufficialmente. Già, perchè pochi giorni prima, il titolare del Tesoro americano Geithner si era detto disponibile ad un più ampio ruolo dei diritti speciali di prelievo (SDRs) del Fondo Monetario Internazionale, facendo apparire così gli USA piuttosto vicini alle posizioni russe, dal momento che gli SDRs potrebbero svolgere il ruolo di superreserve currency. Tuttavia, alla vigilia del G20, lo stesso Arkady Dvorkovich, consigliere economico di Medvedev, aveva ammesso che "non tutti sono ancora pronti a sostituire il dollaro" ma che la Russia continuerà ad insistere su questa proposta "a tutti i livelli". La Cina, dal canto suo, si accoda a Mosca ed alle sue proposte di ristrutturazione dell'ordine economico mondiale. Pochi giorni prima, il governatore della Banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan, aveva affermato che una nuova valuta internazionale ''non dovrebbe essere collegata a nazioni individuali''. Secondo l'autorità monetaria cinese, gli attori economici mondiali sarebbero troppo dipendenti dalle condizioni economiche e dalle decisioni del Paese di riferimento della valuta utilizzata (cioè dagli USA). Le condizioni di bilancio e le decisioni di politica economica di tale Paese, continua Pechino, potrebbero facilmente far sì (più o meno volutamente) che tale valuta si deprezzi, con conseguenze non piacevoli per chi, come la Cina, detiene quasi duemila miliardi di dollari di riserve.
Esiste un "dietro le quinte" che occorre tener in considerazione per comprendere il background della posizione russa, un "retroscena" che ci porta all'EurAsEC, la Comunità Economica Eurasiatica che raccoglie al suo interno Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Uzbekistan, Belarus e Russia. I tentativi di Mosca di ri-creare una sorta di area rublo (dopo la sua venuta meno nel '93) nello spazio post-sovietico, hanno determinato una reazione diplomatico/economica da parte dell'altro Paese più rilevante della Comunità: il Kazakhstan. Cogliendo l'occasione della crisi, l'astuto presidente kazako Nazarbayev ha risposto alle offensive russe proponendo, per l'EurAsEC, un'unica nuova valuta, lo yevraz. L'iniziativa ha ovviamente suscitato fredde reazioni in Russia. Nazarbayev, da sempre in ottimi rapporti con Mosca, si è guardato bene, anche in questa circostanza, dall'entrare in "rotta di collisione" col Cremlino. La proposta dello yevraz è stata così accompagnata dalla proposta kazaka di una nuova valuta globale: l'acmetal. Appare evidente il tentativo di Nazarabayev di allinearsi alle posizioni monetarie internazionali di Mosca. Altrettanto evidente appare la volontà, da parte del Kazakhstan, di contrastare le tendenze espansionistiche del rublo in Asia Centrale. Sono due "lati" della stessa "medaglia": ambito regionale ed ambito mondiale s'intrecciano, in un gioco d'interessi diversi ma convergenti.

Ecco come Roman Muzalevsky ha spiegato le iniziative di Nazarbayev.

Dal Central Asia Caucasus Institute, 03/26/2009 issue of the CACI Analyst.

Kazakh President Nursultan Nazarbaev is neither shy about his vision of turning Kazakhstan into one of the world’s 50 most competitive countries, nor reserved in his ambitions ranging from the integration of Central Asia to the recent call for a single global currency to deal with the financial crisis. As the leaders of the G-20 countries prepare for a financial summit on April 2 in London, Nazarbaev has been advancing his proposal to deal with the global recession, and with it, his domestic and international clout.

“We must switch to a new global currency system, which will be based on a single global monetary unit,”- Nazarbayev underlined on March 10 at the congress of the Eurasian Universities Association, adding that Kazakhstan presented to the world with view of the solution. Claiming that a dollar currency is an undemocratic and unregulated world currency, the president proposes the creation of a single global currency under the UN auspices. Previously on his trip to India, Nazarbaev stated that “the future measures should ensure that we have a completely just global currency, and not with only one issuer as is the case today.” According to him, "the existing global financial monetary system does not meet current requirements and does not correspond to any criteria of a stable monetary system...”

The IMF reacted by saying the idea was “interesting, but poorly explored” as of now. Nobel Prize winner and economist Edmund Phelps partially supported the project, arguing that “there is no sense in having more than 90 currencies in the world,” while disagreeing that a single global currency alone will solve the problem. Another Nobel Prize winner, and the architect of the Euro currency, Robert Mundell, however, explicitly sided with the initiative: “…I agree with President Nazarbayev on his statement and many of the things he said in his plan...” Kazakhstan’s proposal for what Nazarbaev terms “acmetal” global currency might “look kind of funny” but in reality is a step in the right direction. The “acmetal” is a combination of two words: acme, the Greek word for “best,” and “capital.” Modern capitalism represents what Nazarbaev calls “defectalism.” Hence the need for a new financial-monetary system of “acmetalizm”, built on a more perfect capital.

Kazakhstan is not alone in proposing reforms of the financial order left over after a blow to the Bretton Woods system in 1971. German Chancellor Angela Merkel proposed the creation of a UN economic council that would work out anti-crisis solutions, while British Prime Minister Gordon Brown and U.S. Secretary of the Treasury Timothy Geithner called for a centrally coordinated financial system. Ewald Nowotny, the European Central Bank member, stressed that a “tri-polar” currency system is already developing among the US, Europe, and Asia to replace the U.S. dollar-based financial order. French President Nicolas Sarkozy, in his turn, stated that “the dollar cannot claim to be the only currency in the world,” arguing that “in the capitalism of the 21st century, there is room for the state.” Canadian Finance Minister Jim Flaherty, however, was cautious about the need to reengineer the volatile financial system: “We don't need to recreate the world right now. What people expect of us, quite frankly, in our countries is to get our own houses in order.'' Russian President Dmitri Medvedev, stressing the dangers of depending on a single uncontrolled global currency, has lobbied for a number of regional reserve currencies, including the Russian ruble. Sergei Perminov with the Rye, Man & Gor Securities brokerage firm in Russia, however, is pessimistic on the issue: "This is all in the realm of fantasy. Alternatives to the dollar are still hard to find."

In his “Keys to Crisis Resolution” article, Nazarbaev actually agreed to the idea of a single central bank, albeit without the Russian ruble being the regional legal tender. Deputy Chairman of “Ak Zhol” party Burihan Nurmuhamedov considers Nazarbaev’s proposals, including the one for a regional currency voiced at the Economic Forum on March 11, as a way to avert Russia’s plans to create Ruble-based regional currency within the EEC while welcoming a single regional currency along non-Russian lines.

Many, however, have voiced objections to the proposals requiring international centralization of the financial system, putting forward national sovereignty considerations and conspiracy-like propositions. “The control of money and credit strikes at the very heart of national sovereignty,” said A. Clausen, president of Bank of America.

The character of the many proposals is indeed controversial. Nazarbaev’s idea of a global currency, while shared by distinguished policy-makers and experts, may backfire at the upcoming financial summit. The complexity of the international system, functioning of different economies, time constrains and difficulties of common policy coordination, will stand in the way of Nazarbaev’s vision, providing less ambitious projects with more chances of being implemented, at least in the immediate future.


Passo e chiudo.
FRA

 
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