L’autunno russo del 1993 fu caldo, anzi caldissimo. Dal punto di vista politico intendo. Dal punto di vista meteorologico non so, ma non credo. La Federazione Russa stava muovendo i primi passi dopo il crollo sovietico. Se sul piano internazionale quei “passi” erano piuttosto incerti (si inizierà a parlare di “interesse nazionale russo” solo nel 1996 con l’avvento agli Esteri di Primakov), sul piano interno la situazione era certamente complessa ma la direzione intrapresa era chiara. Ancor prima che venisse ammainata la “bandiera rossa” dal Cremlino, il Presidente della RSFSR (la Repubblica Federale Russa) Boris Eltsin aveva “scoperto le carte”: liberalizzazione, privatizzazione e stabilizzazione sarebbero state le parole d’ordine. Insieme al suo staff (anzitutto Chubais, Gajdar, Burbulis, Shakraj) venne presa la sconcertante decisione di “passare al mercato” rinviando al futuro la costruzione di nuove istituzioni politiche. Alla base vi erano motivazioni pratiche e filosofiche, alcune condivisibili altre meno. Tuttavia il risultato fu un totale sconvolgimento socio-economico: in Russia più che di “transizione” è opportuno parlare di vera e propria “rivoluzione”. Ma non è questo l’oggetto dell’articolo. Teniamo però a mente tali aspetti (ad es. dimezzamento in 5 anni del PIL, inflazione galoppante e massiccio impoverimento della popolazione) per comprendere a pieno gli eventi dell’Ottobre 1993.
Oltre a problemi economici e sociali Mosca doveva far fronte anche ad enormi problemi politici, il principale dei quali era la convivenza tra una Presidenza (antisovietica) dai confini ancora imprecisati ed un parlamento (Soviet Supremo) di derivazione, appunto, sovietica. In tale istituzione il dissenso verso Eltsin e la sua politica economica cresceva di pari passo col disagio della popolazione. Già nell’Aprile ’92 il Congresso dei Deputati del Popolo (che in realtà era una sorta di collegio elettorale per l’elezione del Soviet Supremo) aveva tentato di far scattare l’impeachment verso la politica economica di colui che fino a Giugno sarebbe stato anche Primo Ministro, il Presidente Boris Eltsin. Questi dopo il crollo dell’URSS (31 Dicembre 1991) non si era premurato né di indire elezioni politiche né di costruirsi una maggioranza parlamentare. Quello che si stava profilando era dunque uno scontro istituzionale ai massimi livelli, uno scontro che presto avrebbe addirittura portato ad impugnare le armi.
Come già era avvenuto altre due volte, El’cin convocò un referendum sulla sua Presidenza. Questa volta però (Aprile 1993) aggiungendo anche un quesito sul gradimento verso la politica economica. Il risultato fu doppiamente positivo anche se il secondo quesito riscosse solo il 53% dei favori. Per Eltsin il momento era propizio. Obiettivo: cercare di far redigere una nuova Costituzione, una Costituzione ovviamente presidenziale. L’opposizione però rifiutò di entrare nella Commissione Presidenziale istituita a tal fine ed anzi chiese che la Costituzione fosse redatta dal Congresso dei Deputati del Popolo (eletto direttamente dalla popolazione sin dal Marzo 1990), il quale convocò subito un referendum su di un testo costituzionale già elaborato. La risposta di Eltsin non si fece attendere: il Congresso venne immediatamente sciolto. Ruckoj, un eroe della guerra in Afghanistan un tempo molto vicino a Eltsin, dichiarò lo stesso Eltsin decaduto. Immediatamente il Soviet Supremo nominò Ruckoj Presidente della Russia.
Inutile fu il tentativo di mediazione del Patriarca Aleksej II: Ruckoj e Chasbulatov (un ceceno, presidente del Soviet Supremo) convocarono una manifestazione di protesta contro Eltsin (Ottobre 1993) che ben presto si trasformò in un tentativo di impadronirsi della torre di Ostankino, il centro radiotelevisivo di Stato. Si arrivò allo scontro armato. Unità fedeli a El’cin aprirono il fuoco contro la Casa Bianca (il Soviet Supremo) dove si era rifugiata una parte consistente degli insorti. Vi furono più di 100 morti, mentre Ruckoj e Chasbulatov vennero arrestati.
La lotta tra il Presidente ed il Parlamento veniva vinta dal primo. In Dicembre un referendum avrebbe approvato (58%) una costituzione fortemente presidenzialista elaborata dalla Commissione nominata da El’cin. Il potere del Presidente russo venne così “eternizzato”. Chi rimproverava a Putin eccessi di presidenzialismo doveva (e deve) tenere a mente che in realtà il “peccato originale” fu di Eltsin.
L’opinione pubblica rimase ai margini della vicenda, fortemente sconvolta dai costi della transizione/rivoluzione. Le conseguenze si fecero però sentire nelle elezioni di Dicembre dove avrebbe prevalso l’astensionismo e la sfiducia verso la “politica”.
Nel mondo, soprattutto in Occidente, si tirò un sospiro di sollievo. Erano molti, tra gli oppositori di Eltsin, i conservatori nostalgici. A colpi di cannone, ma la democrazia in Russia sembrava salva. Lo stesso El’cin scioglieva i dubbi sulla sua “fedeltà democratica”. Dubbi che in alcuni ambienti occidentali permanevano. D’altronde era stato lo stesso Eltsin a far saltare letteralmente in aria nel 1975 la residenza zarista di Ekaterinburg, nell’ambito del progetto comunista di “rimozione della Storia”. Quelle cannonate contro il Parlamento erano dunque un segnale: il segnale che con Eltsin non si “tornava indietro”.
*[In realtà la rivoluzione bolscevica del 1917 è datata Novembre, Ottobre secondo il calendario russo non ancora convertito nel calendario gregoriano. Il calendario russo sarà convertito l'anno successivo]
Nel video sottostante propongo alcune immagini tratte dalla drammatica "battaglia di Ostankino".
Oltre a problemi economici e sociali Mosca doveva far fronte anche ad enormi problemi politici, il principale dei quali era la convivenza tra una Presidenza (antisovietica) dai confini ancora imprecisati ed un parlamento (Soviet Supremo) di derivazione, appunto, sovietica. In tale istituzione il dissenso verso Eltsin e la sua politica economica cresceva di pari passo col disagio della popolazione. Già nell’Aprile ’92 il Congresso dei Deputati del Popolo (che in realtà era una sorta di collegio elettorale per l’elezione del Soviet Supremo) aveva tentato di far scattare l’impeachment verso la politica economica di colui che fino a Giugno sarebbe stato anche Primo Ministro, il Presidente Boris Eltsin. Questi dopo il crollo dell’URSS (31 Dicembre 1991) non si era premurato né di indire elezioni politiche né di costruirsi una maggioranza parlamentare. Quello che si stava profilando era dunque uno scontro istituzionale ai massimi livelli, uno scontro che presto avrebbe addirittura portato ad impugnare le armi.
Come già era avvenuto altre due volte, El’cin convocò un referendum sulla sua Presidenza. Questa volta però (Aprile 1993) aggiungendo anche un quesito sul gradimento verso la politica economica. Il risultato fu doppiamente positivo anche se il secondo quesito riscosse solo il 53% dei favori. Per Eltsin il momento era propizio. Obiettivo: cercare di far redigere una nuova Costituzione, una Costituzione ovviamente presidenziale. L’opposizione però rifiutò di entrare nella Commissione Presidenziale istituita a tal fine ed anzi chiese che la Costituzione fosse redatta dal Congresso dei Deputati del Popolo (eletto direttamente dalla popolazione sin dal Marzo 1990), il quale convocò subito un referendum su di un testo costituzionale già elaborato. La risposta di Eltsin non si fece attendere: il Congresso venne immediatamente sciolto. Ruckoj, un eroe della guerra in Afghanistan un tempo molto vicino a Eltsin, dichiarò lo stesso Eltsin decaduto. Immediatamente il Soviet Supremo nominò Ruckoj Presidente della Russia.
Inutile fu il tentativo di mediazione del Patriarca Aleksej II: Ruckoj e Chasbulatov (un ceceno, presidente del Soviet Supremo) convocarono una manifestazione di protesta contro Eltsin (Ottobre 1993) che ben presto si trasformò in un tentativo di impadronirsi della torre di Ostankino, il centro radiotelevisivo di Stato. Si arrivò allo scontro armato. Unità fedeli a El’cin aprirono il fuoco contro la Casa Bianca (il Soviet Supremo) dove si era rifugiata una parte consistente degli insorti. Vi furono più di 100 morti, mentre Ruckoj e Chasbulatov vennero arrestati.
La lotta tra il Presidente ed il Parlamento veniva vinta dal primo. In Dicembre un referendum avrebbe approvato (58%) una costituzione fortemente presidenzialista elaborata dalla Commissione nominata da El’cin. Il potere del Presidente russo venne così “eternizzato”. Chi rimproverava a Putin eccessi di presidenzialismo doveva (e deve) tenere a mente che in realtà il “peccato originale” fu di Eltsin.
L’opinione pubblica rimase ai margini della vicenda, fortemente sconvolta dai costi della transizione/rivoluzione. Le conseguenze si fecero però sentire nelle elezioni di Dicembre dove avrebbe prevalso l’astensionismo e la sfiducia verso la “politica”.
Nel mondo, soprattutto in Occidente, si tirò un sospiro di sollievo. Erano molti, tra gli oppositori di Eltsin, i conservatori nostalgici. A colpi di cannone, ma la democrazia in Russia sembrava salva. Lo stesso El’cin scioglieva i dubbi sulla sua “fedeltà democratica”. Dubbi che in alcuni ambienti occidentali permanevano. D’altronde era stato lo stesso Eltsin a far saltare letteralmente in aria nel 1975 la residenza zarista di Ekaterinburg, nell’ambito del progetto comunista di “rimozione della Storia”. Quelle cannonate contro il Parlamento erano dunque un segnale: il segnale che con Eltsin non si “tornava indietro”.
*[In realtà la rivoluzione bolscevica del 1917 è datata Novembre, Ottobre secondo il calendario russo non ancora convertito nel calendario gregoriano. Il calendario russo sarà convertito l'anno successivo]
Nel video sottostante propongo alcune immagini tratte dalla drammatica "battaglia di Ostankino".
Passo e chiudo.
FRA