Al Parlamento di Westminster i leader tanto dei partiti al Governo (conservatori e liberal-democratici) quanto dell’opposizione laburista scrollano il capo e dicono: «È l’ennesima “nuisance”, Edimburgo ricomincia a rompere».Il capoluogo scozzese ha la voce dall’inflessione un po’ gaelica di Alex Salmond,leader di quel Partito nazionalista scozzese (SNP) che nelle elezioni per il rinnovo del Parlamento di Holyrood dello scorso anno ha ottenuto la maggioranza di seggi, battendo i principali partiti. A Westminster sono sostanzialmente convinti che Salmond si stia montando la testa. Non gli basta, infatti, che nel 1997 Londra abbia messo in atto per la Scozia il piano di «devolution», ovvero quella formula di decentramento che ha consentito a Edimburgo di avere un sistema educativo, sanitario e giudiziario indipendenti, pur rimanendo nell’orbita del Parlamento centrale. Senza mezzi termini, Salmond ha chiesto e ottenuto di proporre ai cinque milioni e 200 mila scozzesi un referendum formulato sul quesito: «Siete d’accordo che la Scozia debba essere un Paese indipendente?». Per gli scozzesi le date contano, fanno parte della storia nazionale. Non a caso l’annuncio di Salmond è stato fatto lo scorso 25 gennaio, 253. anniversario della nascita di Robert Burns,poeta-eroe della letteratura scozzese. E la data scelta per il referendum, il 2014, richiama a Edimburgo due ricorrenze: la prima, fausta, è il 1314, anno in cui il re scozzese Robert I the Bruce, con la battaglia di Bannockburn, restaurò di fatto l’indipendenza della Scozia; la seconda, nefasta, il 1714, data della morte della regina Anna, ultima degli Stuart, quando Inghilterra e Scozia insieme furono poste sotto la sovranità degli Hannover. Che Edimburgo insorga nuovamente peraltro non stupisce, se si considera il fatto che l’Atto di Unione del lontano 1707 non fu mai completamente digerito dagli scozzesi. Fu una decisione intrapresa per necessità finanziarie, sostengono a Edimburgo, e chi firmò per conto della Scozia lo fece perché soggetto a tangenti. Amara la conclusione dello stesso poeta Burns: «Ci vendemmo per una manciata d’oro inglese», furono le sue parole.
E prettamente finanziarie sembrano essere le ragioni che guidano anche oggi i nazionalisti scozzesi nelle loro rivendicazioni. «La Scozia – osserva Salmond – ha il sesto Prodotto interno lordo del pianeta. È ricca di risorse naturali. Esporta il whisky. Mentre l’economia del Regno Unito frena. E quando le Nazioni Unite sono nate accoglievano 50 Stati. Ora sono 200. Dieci si sono aggiunti nel 2004. Sei sono più piccoli di noi». Salmond ribadisce che, anche da indipendente, la Scozia considererà ancora la regina il suo capo di Stato, ma Edimburgo avrà il potere di distanziarsi da decisioni impopolari prese dal Governo centrale come quella che ha visto il Regno Unito affiancare gli americani nella guerra in Iraq. Andando al nocciolo, non è neppure casuale che il leader nazionalista usi i suoi archi da guerra contro Westminster in una fase di recessione economica e di pesante debito pubblico, da spartire con Londra. La dinamica del suo comportamento è duplice. Da una parte Salmond gioca di sponda mirando ad ottenere, nel caso di un no al referendum, almeno una Devo Max, cioè una «Devolution potenziata», ovvero la massima autonomia finanziaria all’interno di un sistema simile a quello federale. Dall’altra, si comprende che la massima posta in gioco è una sola: negli ultimi cinque anni – ha calcolato il leader scozzese – una Scozia indipendente, con pieno controllo dei proventi del gas e del petrolio del Mare del Nord, avrebbe avuto un avanzo primario di 7,5 miliardi di sterline.
Tali cifre spaventano Londra, che controbatte dicendo che senza l’Inghilterra la Scozia sarebbe debole e in un sistema globale conviene basarsi su un’economia integrata. I sondaggi dicono che la percentuale di scozzesi favorevoli all’indipendenza non sarebbe oggi superiore al 38%. Ma perché si possa mantenere questa percentuale minoritaria occorrerebbe indire il referendum al più presto possibile: non solo perché i mercati scalpitano ma soprattutto perché nell’arco di due anni le truppe del novello Braveheart, al richiamo di «Scots Wha Hae», l’inno che celebra gli eroi dell’indipendenza, potrebbero paurosamente infoltirsi.
(Corriere del Ticino)Tali cifre spaventano Londra, che controbatte dicendo che senza l’Inghilterra la Scozia sarebbe debole e in un sistema globale conviene basarsi su un’economia integrata. I sondaggi dicono che la percentuale di scozzesi favorevoli all’indipendenza non sarebbe oggi superiore al 38%. Ma perché si possa mantenere questa percentuale minoritaria occorrerebbe indire il referendum al più presto possibile: non solo perché i mercati scalpitano ma soprattutto perché nell’arco di due anni le truppe del novello Braveheart, al richiamo di «Scots Wha Hae», l’inno che celebra gli eroi dell’indipendenza, potrebbero paurosamente infoltirsi.
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