In Kosovo si gioca e si giocherà nei prossimi mesi la stabilità e la pace nei Balcani, in Europa e forse non solo. Qui va rivolta, nello scenario internazionale, la nostra attenzione. Il Kosovo è una miccia: sotto vi è una polveriera pronta ad esplodere. Ancora una volta, certo, ma forse in maniera anche peggiore rispetto al passato.
Ma che succede in Kosovo? Semplice: kosovari e serbi non sono stati capaci di trovare in questi anni un accordo sullo status del Kosovo stesso e di Pristina in particolare, e resosi palese il fallimento, ora qualsiasi momento potrebbe essere buono per una dichiarazione di indipendenza unilaterale kosovara. Anzi, Skender Hyseni, portavoce del team negoziale del Kosovo, ha assicurato che l'indipendenza da Belgrado avverrà prima di maggio. Secondo alcuni osservatori però, avverrà precisamente verso la fine di Gennaio, subito dopo le elezioni serbe, in modo da non favorire una reazione in senso ultra-nazionalista nell'elettorato.
Ma quale sarebbe la conseguenza di un Kosovo indipendente? Facile da immaginare. Ma soprattutto come si muoveranno gli altri indipendentismi nello scacchiere euroasiatico? Come si muoveranno i turchi di Cipro? I curdi della Turchia? I ceceni in Russia? E tutte le altre minoranze balcaniche (maggioranze nelle rispettive regioni)? Ma volendo anche i corsi in Francia o i baschi in Spagna?
Per affrontare "di petto" la questione, occorre fare un passo indietro. Cercare di capire cos'è il Kosovo e come si è arrivati a questa situazione. Da centinaia e centinaia di anni tutta l'area che abbiamo conosciuto come "Yugoslavia" era stata abitata da popolazione illirica ("Illiria" era l'antico nome della regione). A partire dal VII-VIII sec. vi furono le prime invasioni barbariche slave con i primi insediameti "serbi". La coabitazione inizialmente abbastanza pacifica, si evolse definitivamente in vera e propria rivalità tra coloni serbi e componente albanese dell'area (erede degli antichi illiri). Per evitare di essere annientati dai musulmani, gli albanesi intanto si erano covertiti, durante il periodo di dominio ottomano, all'islamismo. In questo contesto si inserisce un'evento che avrà una portata epocale nella storia serba, anche se sarebbe più corretto dire, una portata "mitica": la battaglia di Kosevo Poljie, o "campo dei merli", correva l'anno 1398. In quella battaglia la nobiltà serba veniva distrutta dall'esercito ottomano, in quello che era il primo tentativo di conquista dell'Europa, che sarebbe culminato nell'assedio di Vienna tre secoli più tardi. Da quel momento il Kosovo sarebbe diventato la culla della civiltà serba nell'immaginario collettivo serbo e il simbolo di come la Serbia ortodossa si sia sacrificata per gli "ingrati" europei dinanzi alla minaccia musulmana. Crollato l'impero ottomano i serbi attuarono veri e propri pogrom nei confronti dell'elemento albanese, il quale tentava di trovare rifugio in Turchia. Il Kosovo era ormai stabilmente serbo, certamente con una cospicua componente albanese, ma tuttavia "la storia" e "il mito" pendevano dalla parte dei serbi.
Questa la situazione alla vigilia dello scoppio della guerra nel 1999, ma con una piccola variante: gli albanesi kosovari, più prolifici, erano ormai nettamente la maggioranza. Il braccio armato degli albanesi, l'UCK (Esercito di Liberazione Nazionale), già dal 1997 attuava (appoggiato dagli Usa) una vera e propria guerriglia, servendosi anche di atti di terrorismo, mentre dall'altra parte i serbi attuavano una dura repressione. Rapporti di intelligence (?) occidentali facevano trapelare, dopo la scoperta di una fossa comune, l'intenzione serba di eleminare gli albanesi del Kosovo. La "comunità internazionale" (ovvero la NATO) decise allora di intervenire, era il 24 Marzo 1999. L'offensiva aerea sulla Serbia terminò il 10 Giugno, con la totale distruzione delle infrastrutture, delle basi militari, dei depositi, delle raffinerie, delle centrali elettriche. In Kosovo invece la NATO "si accontentò" di sparare circa 38.000 proiettili all'uranio impoverito, gli effetti dei quali sono ancora ben visibili nella popolazione locale e nei soldati dei vari contingenti ancora presenti sul territorio. Dopo il crollo della Serbia, Milosevic capì che la sua sopravvivenza politica si sarebbe giocata sull'accettazione dell'invio di truppe NATO nel Kosovo, le quali avrebbero tutelato i serbi rimasti da una nuova vendetta albanese.
Ma che succede in Kosovo? Semplice: kosovari e serbi non sono stati capaci di trovare in questi anni un accordo sullo status del Kosovo stesso e di Pristina in particolare, e resosi palese il fallimento, ora qualsiasi momento potrebbe essere buono per una dichiarazione di indipendenza unilaterale kosovara. Anzi, Skender Hyseni, portavoce del team negoziale del Kosovo, ha assicurato che l'indipendenza da Belgrado avverrà prima di maggio. Secondo alcuni osservatori però, avverrà precisamente verso la fine di Gennaio, subito dopo le elezioni serbe, in modo da non favorire una reazione in senso ultra-nazionalista nell'elettorato.
Ma quale sarebbe la conseguenza di un Kosovo indipendente? Facile da immaginare. Ma soprattutto come si muoveranno gli altri indipendentismi nello scacchiere euroasiatico? Come si muoveranno i turchi di Cipro? I curdi della Turchia? I ceceni in Russia? E tutte le altre minoranze balcaniche (maggioranze nelle rispettive regioni)? Ma volendo anche i corsi in Francia o i baschi in Spagna?
Per affrontare "di petto" la questione, occorre fare un passo indietro. Cercare di capire cos'è il Kosovo e come si è arrivati a questa situazione. Da centinaia e centinaia di anni tutta l'area che abbiamo conosciuto come "Yugoslavia" era stata abitata da popolazione illirica ("Illiria" era l'antico nome della regione). A partire dal VII-VIII sec. vi furono le prime invasioni barbariche slave con i primi insediameti "serbi". La coabitazione inizialmente abbastanza pacifica, si evolse definitivamente in vera e propria rivalità tra coloni serbi e componente albanese dell'area (erede degli antichi illiri). Per evitare di essere annientati dai musulmani, gli albanesi intanto si erano covertiti, durante il periodo di dominio ottomano, all'islamismo. In questo contesto si inserisce un'evento che avrà una portata epocale nella storia serba, anche se sarebbe più corretto dire, una portata "mitica": la battaglia di Kosevo Poljie, o "campo dei merli", correva l'anno 1398. In quella battaglia la nobiltà serba veniva distrutta dall'esercito ottomano, in quello che era il primo tentativo di conquista dell'Europa, che sarebbe culminato nell'assedio di Vienna tre secoli più tardi. Da quel momento il Kosovo sarebbe diventato la culla della civiltà serba nell'immaginario collettivo serbo e il simbolo di come la Serbia ortodossa si sia sacrificata per gli "ingrati" europei dinanzi alla minaccia musulmana. Crollato l'impero ottomano i serbi attuarono veri e propri pogrom nei confronti dell'elemento albanese, il quale tentava di trovare rifugio in Turchia. Il Kosovo era ormai stabilmente serbo, certamente con una cospicua componente albanese, ma tuttavia "la storia" e "il mito" pendevano dalla parte dei serbi.
Questa la situazione alla vigilia dello scoppio della guerra nel 1999, ma con una piccola variante: gli albanesi kosovari, più prolifici, erano ormai nettamente la maggioranza. Il braccio armato degli albanesi, l'UCK (Esercito di Liberazione Nazionale), già dal 1997 attuava (appoggiato dagli Usa) una vera e propria guerriglia, servendosi anche di atti di terrorismo, mentre dall'altra parte i serbi attuavano una dura repressione. Rapporti di intelligence (?) occidentali facevano trapelare, dopo la scoperta di una fossa comune, l'intenzione serba di eleminare gli albanesi del Kosovo. La "comunità internazionale" (ovvero la NATO) decise allora di intervenire, era il 24 Marzo 1999. L'offensiva aerea sulla Serbia terminò il 10 Giugno, con la totale distruzione delle infrastrutture, delle basi militari, dei depositi, delle raffinerie, delle centrali elettriche. In Kosovo invece la NATO "si accontentò" di sparare circa 38.000 proiettili all'uranio impoverito, gli effetti dei quali sono ancora ben visibili nella popolazione locale e nei soldati dei vari contingenti ancora presenti sul territorio. Dopo il crollo della Serbia, Milosevic capì che la sua sopravvivenza politica si sarebbe giocata sull'accettazione dell'invio di truppe NATO nel Kosovo, le quali avrebbero tutelato i serbi rimasti da una nuova vendetta albanese.
Possiamo dire oggi che il piano per il Kosovo con amministrazione a guida NATO, sia miseramente fallito. Certo la permanenza dei contingenti è ed è stata essenziale per la sicurezza di quei pochissimi serbi rimasti, ma è proprio questo il punto: in Kosovo si è realizzata da allora (dopo quella di Tudjman in Croazia, 800.000 serbi cacciati) la più grande "pulizia etnica" dei Balcani, con 360.000 serbi mandati via (oltre a chiese e monsteri ortodossi dati alle fiamme).
Ora "i nodi tornano al pettine". Ancora una volta. Ancora in Kosovo. Le alleanze diplomatiche sono sempre le stesse. Gli Usa appoggiano l'indipendenza e Bush nell'ultima sua visita a Tirana ha promesso esplicitamente, con la sua solita leggerezza e incoscienza, "un Kosovo indipendente". La Russia, da sempre "protettrice" della Serbia, continua nella sua linea di chiara opposizione a qualsiasi soluzione che sancisca un definitivo distacco da Belgrado, temendo fra l'altro le possibili ripercussioni in Cecenia. L'Unione Europea come al solito tentenna, propendendo però in linea di massima per la tesi di Washington, con la sola eccezione di Cipro, timorosa, come si è detto, per le conseguenze sulla sua "parte turca".
Le diplomazie sono in fermento, si fiuta il pericolo. Le ipotesi "sul piatto" sono diverse: se da un lato il vicepremier serbo Djelic ha già rifiutato qualsiasi sorta di scambio "Kosovo-ingresso UE", dall'altra si studiano anche ipotesi di divisione del territorio kosovaro in due province.
Ora "i nodi tornano al pettine". Ancora una volta. Ancora in Kosovo. Le alleanze diplomatiche sono sempre le stesse. Gli Usa appoggiano l'indipendenza e Bush nell'ultima sua visita a Tirana ha promesso esplicitamente, con la sua solita leggerezza e incoscienza, "un Kosovo indipendente". La Russia, da sempre "protettrice" della Serbia, continua nella sua linea di chiara opposizione a qualsiasi soluzione che sancisca un definitivo distacco da Belgrado, temendo fra l'altro le possibili ripercussioni in Cecenia. L'Unione Europea come al solito tentenna, propendendo però in linea di massima per la tesi di Washington, con la sola eccezione di Cipro, timorosa, come si è detto, per le conseguenze sulla sua "parte turca".
Le diplomazie sono in fermento, si fiuta il pericolo. Le ipotesi "sul piatto" sono diverse: se da un lato il vicepremier serbo Djelic ha già rifiutato qualsiasi sorta di scambio "Kosovo-ingresso UE", dall'altra si studiano anche ipotesi di divisione del territorio kosovaro in due province.
Staremo a vedere. Una cosa però è certa: la Serbia non rinuncierà mai totalmente al Kosovo. Non è chiaro cosa, per Belgrado, potrebbe compensare la perdita di quel territorio (peraltro geostrategicamente determinante nei Balcani). Sicuramente non l'ingresso nell'Unione Europea (almeno nel medio-breve periodo), sarebbe come dire ai serbi: "il premio per aver ceduto un pezzo della vostra sovranità, è la cessione di un altro pezzo della vostra sovranità"!!!
Passo e chiudo.FRA
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