Saturday, December 15, 2007

SISTEMI ELETTORALI COMPARATI. (Comparative electoral systems)

Una cosa è certa: nessun partito vuole andare al referedum. La tanto criticata legge 270/2005 in realtà accontenta tutte le segreterie di partito, se non altro per le cosiddette "liste bloccate". La Corte Costituzionale si pronuncierà fra poco più di un mese sull'ammissibilità del referendum. Il giudizio, considerato come è stato steso il quesito referendario, sarà quasi sicuramente favorevole. Si chiede infatti l'impossibilità di "candidature multiple" e l'abrogazione del premio di magggioranza per le coalizioni: il premio sarà diretto alle liste. Gli effetti sarebbero un automatico innalzamento delle soglie di sbarramento (al Senato dal 4 all'8% ed alla Camera dal 2 al 4%) con conseguente "eliminazione" dei partiti minori ed un venir meno delle coalizioni, nonchè della varietà partitica che esse portano al loro interno. La critica che viene fatta a tale possibile evoluzione riguarda la possibilità per le forze partitiche di unirsi per le elezioni in "listoni" e di dividersi successivamente in parlamento in una nuova miriade di forze. Questa critica però non tiene conto di due fattori: primo, il sistema partitico, pur non essendo direttamente e totalmente il risultato del sistema elettorale (come vorrebbe la tesi di Duverger, maggioritario=bipartitismo e proporzionale=multipartitismo, smentita nella pratica in vari casi come ad esempio l'India, maggioritario con multipartitismo) non è ad esso indifferente; secondo, sarebbe possibile evitare ciò che la critica paventa attraverso regolamenti parlamentari (come in Germania o Spagna) che prevedano l'impossibilità di dar luogo a gruppi parlamentari non corrispondenti alle liste che hanno partecipato alle elezioni... servirebbe solo la volontà politica di farlo.
Abbiamo dunque capito il motivo per cui già da diversi mesi si stia parlando di "legge elettorale". A ciò si aggiunga che una legge del '70 in tema di referendum abrogativo (o meglio "abrogativo/manipolativo") prevede che nel caso il parlamento modifichi una norma oggetto di futuro referndum, allora tale referdum, essendo mutato il suo oggetto, non si terrà. La dottrina della Corte Costituzionale ha rettificato tale principio sostenedo che la modifica debba riguardare la sostanza della norma, non solo la forma, non potendo dunque essere una modifica di pura facciata. Si tenga infine presente come la Corte Costituzionale si stata sempre titubante nell'approvare referendum abrogativi su leggi elettorali, creando la fattispecie delle "leggi costituzionalmente necessarie", affiancando quindi alle leggi elencate dall'art.75 della Costituzione (es. leggi di bilancio), leggi per le quali è dichiarato inammisibile il referendum, le leggi elettorali.
Ecco allora che oggi diversi uomini politici propongono vari "modelli": spagnolo, tedesco, francese, inglese etc. L'importante sembra essere evitare il referendum. Cerchiamo allora di fare chiarezza, con semplicità. Bisogna capire di cosa si sta parlando quando si parla di un determinato "modello", bisogna capirne le ragioni, ma soprattutto le conseguenze.
Partiamo con una considerazione generale: come al solito, quando si parla di "sistemi elettorali" si scontrano due principi, che sono "la rappresentatività" e "la governabilità". "La democraticità" non ha nulla a che vedere con questo discorso. Un sistema è democratico quanto un altro se vengono rispettati i principi fondamentali della democrazia. Chiariamolo fin d'ora. Ci troviamo così dinanzi alle due grandi famiglie elettorali: il proporzionale ed il maggioritario. Non sto qui a spiegare le molteplicità di formule (ciò vale soprattutto per il proporzionale) in cui tali sistemi si possono concretizzare. Piuttosto dico che in genere si considera il proporzionale più adatto per quei sistemi politici e per quelle società dove sono più ampie e numerose le fratture sociali (nel senso di Rokkan - le cui opere, lettura illuminante e fondamentale, consiglio a tutti). Al contrario il maggioritario sembrerebbe più indicato laddove queste "fratture" non esistono o sono poco presenti. Questo approccio stava alla base anche della scelta nel '48 di un sistema fortemente proporzionale che sarebbe durato fino al '93, avvento del cosiddetto "mattarellum", 1/4 proporzionale e 3/4 maggioritario, sostituito a sua volta proprio dallo "schizofrenico" proprzionale della l. 270/2005.
Ma lasciamo da parte l'Italia e guardiamo agli altri modelli dei quali ultimamente si parla. La Francia. Il metodo è qui, per l'elezione dell'Assemblea Nazionale, maggioritario majority (doppio turno) al primo turno, plurality (eletto chi ottiene la maggioranza relativa) al secondo turno. In particolare passa al secondo turno chi ottiene il 12% dei voti degli aventi diritto, nella pratica, contando gli astenuti, si può arrivare a dover ottenere il 20%. Il risultato è quandi quello di una competizione aperta, ampia, ma molto selettiva, con un incetivo al bipartitismo (da non confondere con la "bipolarizzazione). Ancor più selettivo, anzi il più selettivo è il metodo inglese, plurality puro. La distorsione della realtà elettorale è enorme, la governabilità (accentuata da una forma di governo incentrata totalmente sul premier) è ampissima. In ogni collegio uninominale viene qui eletto chi ottiene la maggioranza (relativa). Contrariamente al caso francese ed a quanto si potrebbe pensare, l'esito non è il bipartitismo. Favoriti sono certamente i grandi partiti (laburisti e conservatori oggi, liberali e conservatori un tempo), ma anche i partiti molto concentrati territorialmente (indipendentisti gallesi, scozzesi, nordirlandesi etc.). Così in parlamento ritroviamo sei o sette partiti, con grande penalizzazione per quei partiti, come il Partito Liberale oggi che, pur ottenendo molti voti, ottengono pochissimi seggi, essendo il loro elettorato molto "spalmato" sul territorio. Un esito simile lo riscontiamo in Spagna, dove "sulla carta" il sistema è proporzionale, ma gli esiti sono chiaramente maggioritari. Questo avviene per due motivi: primo, la legge elettorale è proporzionale, ma non prevede il "recupero dei resti", ovvero i voti che risulatano "in più" rispetto ai "pacchetti" di voti definiti dai quozienti (numero di voti diviso numero di seggi) non vengono redistribuiti, con evidenti effetti di sproporzionalizzazione; secondo, i collegi sono in media molto piccoli (si va dai 44 seggi del collegio di Madrid ai 2 del collegio di Ceuta, ma la media è intorno ai 6 seggi), con un altro effetto di sproporzionalizzazione (è intuitivo infatti che meno seggi sono assegnati in un collegio, meno possibilità ha un partito piccolo di ottenere un seggio in quel collegio). Il risulato è simile a quello inglese: favoriti i grandi partiti (socialisti e popolari) oltre ai partiti concentrati territorialmente (baschi, catalani etc). Sfavoriti anche qui i partiti con elettorato "spalmato" come la Sinistra Unita. Evidentemente il risultato voluto, risponde ad una esigenza politico-storico spagnola: quella di affiancare alle forze promotrici di una forte unità nazionale, quelle rappresentative degli indipendentismi che hanno caratterizzato la storia spagnola, tentando al contempo di limitare il rischio di una deriva verso il multipartitismo estremo. Infine la formula adottata in Germania, definita da Lanchester come "proporzionale personalizzato". Se osserviamo una scheda elettorale per il Bundestag, notiamo come nella parte destra abbiamo la scelta tra diversi partiti, nella sinistra tra diversi candidati. A destra (la parte che veramente conta) il metodo utilizzato è proporzionale (variante del metodo del "quoziente naturale e dei più alti resti", mentre prima era il "metodo d'Hondt"), con soglia di sbarramento al 5% e la necessità per un partito di ottenere almeno tre seggi "nella parte sinistra" della scheda. In questa parte si tenta di rispondere alla domanda "chi?" all'interno del partito della "parte destra" della scheda. I singoli candidati vengono qui eletti all'interno di collegi uninominali, con metodo plurality. Ecco perchè il sistema tedesco rappresenta un unicum: è un sistema proporzionale nella quale riscontriamo la presenza di collegi uninominali e non plurinominali. Speculare è il sistema americano dei "Grandi Elettori", utilizzato per l'elezione del Presidente: maggioritario con collegi (ogni Stato Federato) plurinominali.
Spero che quanto detto aiuti nella comprensione del dibattito attuale sulla legge elettorale, o almeno aiuti nella riflessione sulle varie proposte, nella consapevolezza però del timore da parte di tutte le forze politiche di un ricorso al referendum abrogativo.
Capito questo, è poi possibile procedere ad una discussione sulla base dei risultati politici che si desiderano ottenere. Certamente la frammentazione partitica è un problema grave per il Parlamento italiano. D'altra parte però vi è anche una esigenza di rappresentatività che non può venir meno, tanto più in un sistema politico in progressiva "americanizzazione".
Il vero pericolo ritengo che derivi da una coesistenza dei due aspetti: frammentazione + americanizzazione. Molteplicità di partiti tutti uguali tra loro, tutti ugualmente "vuoti", senza programma, ideologia, finalità altra se non quella di governare. Piccoli partiti "vuoti" e grandi partiti "vuoti". La strada avviata già da parecchio tempo mi pare purtroppo quella. E la legge elettorale riguarda comunque solo metà del problema.
Passo e chiudo.
FRA

1 comment:

Gerontion said...

ciao, su http://ron08.blogspot.com stiamo mettendo assieme tutti i blogger italiani a sostegno di ron paul, se potrebbe interessarti visita il sito e lascia un commento... see you there!
ps: scusa se il commento non c'entra con il post...

 
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